Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
  Sacra Scrittura
 

LA FORMAZIONE DEL NUOVO TESTAMENTO

Gesù è un uomo sensibile per le qualità positive che esprime: affetto e amicizia per i suoi discepoli (Gv. 15,15), fiducia nei loro confronti (Mc. 3,14); e, nel contempo, è un uomo fermo e deciso, convinto di quanto fa e di quanto dice (Mt. 7, 28-29), pronto anche a soffrire sapendo di doverlo fare (Mc. 8, 31-33). Ma accanto a questi tratti della persona umana di Gesù, emerge nei Vangeli anche la sua divinità. La persona di Gesù, nella sua interezza, sta all'origine della fede cristiana. Tutta la sua vita, i suoi discorsi e i suoi silenzi, i suoi sentimenti e le sue decisioni, i suoi gesti quotidiani e quelli miracolosi, la sua nascita e la sua morte e infine, soprattutto, la sua risurrezione, tutto questo è la radice del Cristianesimo. Proprio a partire dalla risurrezione di Cristo, infatti, gli apostoli comprenderanno in pieno che Gesù è il Figlio di Dio: questo è il nucleo centrale dell'annuncio cristiano. Ma con Gesù si è determinato negli uomini un cambiamento di aspettative riguardo alla modalità con la quale Dio si sarebbe rivelato: chi si attendeva la rivelazione di Dio e la sua comunicazione con gli uomini esclusivamente in termini di potenza o tramite miracoli, vede invece un uomo che, pur facendo opere straordinarie, vuole assumere in maniera completa le caratteristiche della vita umana nella sua quotidianità. Chi si aspettava di vedere un Dio, ha visto un uomo. Gesù è Figlio di Dio e mantiene la propria divinità, ma nello stesso tempo sceglie di ridursi alla dimensione umana.

" Gesù Cristo, pur essendo di natura divina,

non considerò un tesoro geloso

la sua uguaglianza con Dio;

ma spogliò se stesso,

assumendo la condizione di servo

e divenendo simile agli uomini. "

( Fil. 2, 5-7 )

1. LE FONTI BIBLICHE

Gesù, come si sa, non ha lasciato nessuno scritto e nemmeno ha preso alcuna iniziativa per garantire una riproduzione letteraria dei suoi discorsi. Hanno scritto invece alcuni suoi seguaci, e nemmeno subito dopo i fatti, ma a distanza di qualche decennio. Subito dopo i fatti (cioè dopo la morte-risurrezione di Gesù) si è invece formato il Vangelo orale (dall'anno 30 al 70 circa); solo in seguito si formarono anche i Vangeli scritti (tra il 70 e il 100 circa). In pratica dalla morte di Gesù alla redazione definitiva dei vangeli passano una quarantina d'anni, ma non sono quarant'anni di vuoto: sono anni di intensa attività della comunità cristiana, di predicazione, di celebrazioni liturgiche, di prime raccolte scritte dei "detti" principali di Gesù, delle parabole, dei miracoli. Da tutto questo materiale, gli evangelisti hanno poi attinto per comporre i Vangeli. Questa trasmissione orale e scritta, va sotto il nome di Tradizione.

Il periodo di composizione è compreso tra il 40-50 e il 70 d.C. per i Vangeli di Matteo, Marco e Luca, e tra il 90-100 d.C. per quello di Giovanni.

I primi tre Vangeli sono detti "Sinottici", da un termine greco (sjn = "insieme" + òpsis = "vista", cioè "lettura unitaria") che indica la possibilità di "leggerli insieme" tante sono le analogie e tanti sono i parallelismi.

Il Vangelo di Giovanni, scritto al di fuori della Palestina, si scosta invece dai primi tre, in quanto, pur narrando gli stessi episodi, li considera in modo diverso.

Gli atti degli Apostoli vennero scritti da Luca tra il 73 e l'80 secondo alcuni studiosi, tra il 90 e il 100 secondo altri.

Alla base dei Vangeli sta la predicazione degli Apostoli, come spiega la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano "Dei Verbum" n. 19: "Gli Apostoli, dopo l'Ascensione del Signore, hanno trasmesso ai loro ascoltatori ciò che Egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo spirito di verità, godevano. E gli autori sacri hanno scritto i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose fra le molte che venivano tramandate a voce o anche per iscritto, sintetizzandone alcune, spiegandone altre in rapporto alla situazione delle chiese, conservando, infine, il carattere di annuncio, sempre però in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità".

Dunque nei Vangeli troviamo sia quello che Gesù ha detto e fatto, sia quello che gli Apostoli alla luce della Sua risurrezione e della Pentecoste hanno trasmesso, sia, infine, il lavoro di redazione compiuto dagli evangelisti che, secondo la situazione delle varie comunità cristiane, sceglievano all'interno dell'annuncio, gli elementi che ritenevano più utili alla diffusione della fede, senza però alterare il messaggio di Cristo. Quindi i Vangeli:

- non sono una biografia o ricostruzione storica di Gesù, intesa in senso moderno, anche se essi contengono molti dati biografici storicamente inoppugnabili;

- non sono una sintesi logica e sistematica delle verità e dei precetti insegnati da Gesù (com'è, per esempio, il Corano di Maometto nella religione musulmana);

- non sono quattro versioni radicalmente diverse dello stesso evento, ma nemmeno sono versioni del tutto simili e ripetitive al punto da essere intercambiabili o unificate in un testo unico;

- non sono una registrazione diretta e immediata dei fatti al momento in cui questi accadevano, anche se gli evangelisti sono più o meno testimoni diretti dei fatti o perché apostoli (è il caso di Matteo e Giovanni), o perché discepoli vicini agli apostoli (è il caso di Marco e Luca).

La prima preoccupazione dei Vangeli è quella di offrire una visione completa di Gesù: è la totalità della figura di Cristo che viene comunicata e non tanto i singoli aspetti (Gesù uomo, Gesù profeta, Gesù Dio ...). Chi si accosta ai Vangeli deve tenere conto di questo obiettivo religioso per entrare in sintonia con i testi evangelici.

Un corretto accostamento ai Vangeli come fonti storiche non richiede, dunque, un uso riduttivo della ragione, cioè una pura dimostrazione di eventi storici, ma il carattere di presentazione dei Vangeli è rivolto alla proposta, all'appello e alla fede.

Questo non toglie ai Vangeli il loro valore storico: anche se sono resoconti scritti alla luce della fede, tuttavia sono fedeli ai dati storici e rispettosi dell'originario insegnamento di Cristo. Manca, tuttavia, nei Vangeli la preoccupazione di fissare tutto e subito per iscritto quanto ha fatto o detto Gesù: per questo risulta difficile risalire alle dirette parole di Gesù ("ipsissima verba Jesu").

Dopo la risurrezione gli apostoli hanno, quindi, interpretato gli eventi storici grazie al dono dello Spirito Santo e alla luce della loro fede, ma non li hanno inventati.

Gli evangelisti, in alcuni passaggi dei loro testi, sottolineano, infatti, che i loro racconti sono fondati su testimonianze personali (Gv. 19,35; 21,24) o fanno riferimento a testimonianze delle quali si è vagliata la fondatezza (Lc. 1, 1-4).

Matteo e Giovanni furono apostoli del Signore e diretti testimoni di quanto poi riferirono nei loro Vangeli.

Marco non fu apostolo, ma fu discepolo di Paolo prima e poi di Pietro e soprattutto dalla predicazione di quest'ultimo raccolse i dati storici per stendere il suo Vangelo.

Luca afferma in apertura del suo Vangelo di essersi premunito di cercare notizie fondate e di aver raccolto scritti e resoconti che altri avevano steso prima di lui.

Gli studiosi, partendo da questi dati storici, hanno individuato alcuni criteri che confermano l'affidabilità storica dei fatti narrati nei Vangeli.

1) Criterio di attestazione multipla. Quando un fatto o un insegnamento viene riportato da fonti diverse, il dato evangelico può essere considerato come solidamente attestato e quindi degno di affidabilità storica, perché più testimonianze lo confermano. Applicando questo criterio risulta che il tema della misericordia di Gesù verso i peccatori è storicamente fondato perché viene attestato da tutti gli evangelisti e in forme letterarie differenti tra loro (parabole, discorsi, racconti di incontri di Gesù con varie persone, polemiche con i farisei e i capi del popolo). Anche l'attività taumaturgica di Gesù, la sua predicazione in parabole, la sua presa di posizione nei confronti della religiosità formale di alcuni del suo tempo, la sua morte in croce, la sua risurrezione sono riconoscibili come fatti storici accreditati.

2) Criterio della discontinuità. Quando un dato contrasta con l'ambiente e la mentalità giudaica del tempo in cui visse Gesù, tale dato è da ritenersi autentico. Per esempio, l'atteggiamento di Gesù nei confronti dei farisei e del sabato, che rappresenta un caso di rottura con il mondo rabbinico o l'uso da parte di Cristo del termine familiare "Abbà" per riferirsi a Dio.

3) Criterio della conformità. Si può considerare autentico un dato evangelico se è conforme e coerente con tutto il messaggio di Gesù e l'annuncio del Regno di Dio.

4) Criterio di spiegazione necessaria. E' l'applicazione del principio di ragione sufficiente: ogni fatto deve poter essere adeguatamente spiegabile, talvolta una spiegazione diventa necessaria perché è l'unica possibile, in quanto altre spiegazioni farebbero sorgere numerosi e più grandi problemi. Questo criterio praticamente dice: la spiegazione più semplice talvolta è quella necessaria anche se esce dagli schemi più comuni". Per esempio, che gli apostoli non abbiano trafugato il corpo di Gesù dalla tomba, va accreditato come veritiero. Diversamente come avrebbero potuto eludere la custodia dei soldati? Dove avrebbero trovato il coraggio, dal momento che i Vangeli li descrivano estremamente timorosi?

Ma i Vangeli che abbiamo noi sono quelli scritti dagli evangelisti?

Rispondiamo affermativamente. Matteo, Marco, Luca e Giovanni hanno scritto il Vangelo. Questa prima stesura, quale è uscita dalle loro mani, si chiama "autografo": altri poi hanno trascritto l'autografo degli evangelisti, e tali copie si chiamano "codici".

Nessun autografo antico, né profano, né sacro, è giunto fino a noi, ma ci sono giunte le loro copie: i codici, appunto. E' interessante un confronto tra i codici profani e quelli sacri.

a.    a.     Codici profani

Quali codici abbiamo degli autori profani? Di Orazio, che è tra i più fortunati, abbiamo 250 codici, di Omero 110, di Virgilio circa 100, di Sofocle circa 100, di Eschilo 50, di Platone 11, di Euripide 2.

Quale distanza di tempo passa tra l'autografo degli autori profani e le prime copie rimaste? Tale distanza per Virgilio è di 400 anni, per Orazio 800, per Giulio Cesare 900, per Cornelio Nepote 1200, per Platone 1300, per Sofocle 1400, per Eschilo 1500, per Euripide 1600, per Omero circa 2000.

Riassumendo: come quantità di codici si va da 1 a 250; come distanza di tempo tra autografo e codici si va dai 400 anni a 2000 anni circa. Eppure nessuno ragionevolmente dubita della loro autenticità.

b.    b.     Codici sacri del N.T.

Possediamo 4270 codici, dei quali 53 contengono tutto l'A.T.

Alcuni frammenti di papiri sono importantissimi: quello di Chester-Beattj del 300 d.C.; quello di Egerton del 130-150 d.C. scoperto nel 1934; quello di Rjland degli anni 120-130 d.C. scoperto nel 1920 e pubblicato nel 1935.

Gli ultimi due provano in modo sicuro che al principio del II secolo, già esisteva il Vangelo di Giovanni così come lo leggiamo noi. Inoltre da tutto questo immenso materiale balza fuori la perfetta concordanza, fra tante migliaia di codici, traduzioni e relative copie, distanti tra loro sia per tempo che per luogo.

I codici più antichi a noi arrivati contengono tutta la Bibbia in greco, e sono: il Codice Vaticano (IV sec.), il Sinaitico (IV sec.), L'Alessandrino (V sec.) e altri.

Conclusione

1.    1.     Non vi è libro antico documentato come i Vangeli.

2.    2.     Fra l'autografo dei Vangeli e le primissime copie, praticamente non vi fu distanza di tempo, come dimostrano i papiri di Egerton e del Rjland, benché i primi codici completi giunti a noi distano da 250 a 300 anni dal tempo in cui furono scritti i Vangeli. Tuttavia è facile comprendere che gli autografi non sono periti immediatamente dopo che furono scritti, ma più tardi, perciò la distanza tra autografi e codici attuali si riduce assai, o scompare addirittura, mentre per gli autografi profani la distanza minima è di 400 anni.

3.     3.     Noi siamo dunque certi, anche storicamente, che i vangeli che ora possediamo, erano il patrimonio della primitiva comunità cristiana.

2. I VANGELI APOCRIFI

Nell'ambito cristiano, attorno alla persona di Gesù, sono nati dei testi che la Chiesa non ha riconosciuto come autentici: sono i Vangeli Apocrifi. Essi nascono dal desiderio di presentare la figura di Gesù come colui che opera "cose meravigliose" a testimonianza del fatto che è Dio.

L'interesse per gli aspetti sorprendenti e prodigiosi della vita di Gesù è così marcato che i racconti divengono quasi un romanzo colorito, una bella fiaba, una serie di aneddoti dove il miracolo è sempre di scena.

I Vangeli apocrifi si soffermano volentieri a sottolineare le coincidenze di fatti particolari e seguono uno schema narrativo nel quale si alternano l'esposizione di notizie (poco attendibili dal punto di vista storico) e leggende. Questi testi nascono in ambiente giudaico, presso il gruppo degli ebioniti, dei nazirei dei nicolaiti oppure presso gruppi gnostici che si ispiravano alla filosofia di Plotino (205-270 d.C.) e interpretavano la predicazione di Gesù utilizzando quella filosofia.

3. FONTI PAGANE E GIUDAICHE

Accanto alla testimonianza dei Vangeli, altre fonti ci parlano di Gesù: la fonte non cristiana più antica che attesta dell'esistenza e morte di Gesù è un passo delle "Antichità giudaiche", opera del 93 d.C. circa. Il testo narra la storia del popolo ebreo e fu redatto da Giuseppe Flavio (37-105 d.C.), un giudeo che, dopo la distruzione di Gerusalemme da parte dei romani nel 70 d.C. venne fatto prigioniero e passò al servizio della "Gens Flavia" da cui prese il secondo nome. Il brano nel quale parla di Cristo prende il nome di "Testimonium Flavianum".

Oltre ai documenti giudaici abbiamo i documenti di origine romana:

P. Cornelio Tacito (55-120 d.C.) negli Annali, riferendo dell'incendio che devastò Roma durante il regno di Nerone (64 d.C.), parla dei cristiani e delle accuse lanciate contro di loro di aver appiccato il fuoco al quartiere romano della Suburra. Descrive poi la crudeltà delle prime persecuzioni scatenate contro i cristiani.

Pochi anni prima, dal 111 al 113 d.C. un altro letterato romano, amico di Tacito, Plinio il Giovane, che esercita la funzione di governatore nella Bitinia (Asia Minore). scrivendo una lettera all'imperatore Traiano chiede precisazioni sul modo di comportarsi nei confronti dei cristiani durante i processi contro di loro.

Un altro storico romano che accenna al personaggio di Gesù è Svetonio. Scrivendo la biografia degli imperatori romani (nel 120 d.C.), quando parla dell'imperatore Claudio che regnò dal 41 al 54 d.C. riferisce dell'editto con il quale egli: "Espulse da Roma i giudei i quali, istigati da un certo Crestos, provocavano spesso tumulti.

Il nome "Crestos" è una deformazione del nome "Cristo".

La notizia dell'espulsione dei Giudei e dei Cristiani da Roma corrisponde a verità ed è attestata anche dal Nuovo Testamento (Atti 18,2): infatti nel 49 d.C. Claudio ordinò tale allontanamento per ragione di ordine pubblico e per evitare disordini. La confusione tra giudei, cristiani e Cristo è comprensibile poiché i romani non avevano una chiara coscienza di quali fossero le differenze tra ebraismo e Cristianesimo: entrambe queste religioni venivano dalla Palestina ed entrambe avevano la Bibbia come testo sacro.

In conclusione, le testimonianze non cristiane che abbiamo di Gesù provengono dai più autorevoli rappresentanti della cultura romana della fine del I secolo e sono più che sufficienti per stabilire il fatto dell'esistenza storica di Gesù.

4. LA LINGUA

Tre lingue servirono agli autori ispirati per scrivere i testi originali della S. Scrittura. L'ebraico, l'aramaico e il greco.

1.    1.     L'ebraico è una lingua semitica (dal nome di Sem, figlio di Noè). Era parlato dagli Israeliti fino a qualche secolo dopo l'esilio babilonese, poi fu usato solo nelle preghiere e nelle composizioni letterarie. Risuscitato ed adattato alle esigenze della civiltà moderna, è usato correttamente nello Stato d'Israele.

2.    2.     L'aramaico (da Aram, la regione che poi si chiamò Siria) divenne la lingua comunemente parlata dai Giudei di Palestina al tempo di Gesù. Alcune parole "ebraiche" riportate dai vangeli sono in realtà "aramaiche". Messia, Pascha, Golgotha, Talità cum, ecc...

3.    3.     Il greco fu diffuso in Oriente dalle conquiste di Alessandro Magno (dal 333 al 323 a.C.) e divenne la lingua delle persone colte. La conquista romana non potè sostituire in Oriente il latino al greco, anzi questa lingua greca divenne di uso frequente anche a Roma.

L'Antico Testamento fu scritto per la massima parte in ebraico. In aramaico sono scritte alcune parti di Esdra e Daniele. In greco furono scritti il II libro dei Maccabei e il libro della Sapienza.

Tutto l'A.T. fu tradotto in greco nei secoli III e II a. C. e tale versione, detta dei "Settanta", perché tale sarebbe stato il numero dei traduttori, essa fu adottata dalla Chiesa fin dal tempo degli Apostoli ed è ancora in uso nelle Chiese orientali.

Il N.T. fu scritto interamente in greco. Sappiamo che la prima redazione del Vangelo di Matteo fu in ebraico (o aramaico), ma ci è arrivata solo la redazione in greco.

Alla fine del IV secolo, S. Girolamo tradusse di nuovo l'A.T. direttamente dall'ebraico; tradusse anche Tobia e Giuditta dai testi aramaici, e revisionò altri libri sul greco. Questa nuova Bibbia latina rimase l'unica in uso nella Chiesa occidentale, e si chiamò "Volgata", cioè divulgata, diffusa, di uso comune.

Le prime versioni italiane della Bibbia si fecero sul testo latino. Le più moderne sono tradotte direttamente dai testi originali.

Don Antonio Schena


Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

 
   

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