Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
  Crocifisso
 

Omelia di Mons. Luigi Negri nella Liturgia di riparazione celebrata nel Santuario del S. Crocefisso di Talamello

12 Novembre 2009
 
Sia lodato Gesù Cristo.
Il motivo concreto e storico per cui ci siamo ritrovati questa sera per una Messa di riparazione nei confronti di un gesto sconsiderato. Il giudizio è stato dato chiaramente, subito, dalla nostra Chiesa, quindi la mia preoccupazione non è tanto di ridire le regioni della nostra condanna, tempestiva e radicale per ciò che è stato perpetrato in una istituzione che dovrebbe salvaguardare l’unità, la convivenza pacifica e, addirittura, i diritti dell’uomo.
Questa sera mi permetterete, invece, di rivolgere alla nostra Chiesa e a ciascuno di noi una domanda - e forse dovremmo ringraziare la Provvidenza per ciò che è accaduto perché ci consente di farci questa domanda - che spesse volte, nel fervore della vita di tutti i giorni, nelle circostanze della vita concreta, rischia di scivolarci via o di non mantenere la sua centralità- “che cos’è il crocifisso per noi”.
La Chiesa non ha avuto neanche un istante di esitazione e già nei primi giorni, dopo la morte e la resurrezione, ha adorato la croce, come adora Dio, come adora l’ Eucaristia ed ha espresso questa adorazione con termini che sono di assoluta chiarezza e commozione.
La croce è mistero di morte e di gloria, risplende la croce e Cristo regna da questo trono; salve croce adorabile, unica nostra speranza. La croce è il segno della morte e della risurrezione di Cristo. I crocifissi che da duemila anni si sono innalzati in ambiti privati e pubblici della nostra civiltà europea non sono il ricordo di una morte, sono il ricordo della vittoria di Dio che, proprio nell’umiliazione del Figlio fatto obbediente fino alla morte, la morte in croce, ha celebrato in questa morte e per questa morte la Sua vittoria.
Perché in questa morte e per questa morte il Padre Eterno ha rigenerato nel Figlio la vita eterna che aveva da sempre ricevuto da lui ma, soprattutto, questo rigenerarsi della vita nuova e definitiva in Cristo umiliato, questa vita nuova è fluita e fluisce nella vita di tutti coloro che credono in lui.
Dunque il crocefisso è il segno della vittoria di Dio in noi, è il segno della vittoria di Dio in Cristo, nella sua umiliazione; non l’abbiamo mai brandita nel corso della storia se non affidando al gesto di un alzare il crocifisso una grande, semplicissima e radicale volontà di evangelizzazione.
I crocefissi hanno evangelizzato la società, i crocefissi delle chiese, delle strade, degli ambienti pubblici o privati sono sempre stati un grande annunzio, la possibilità di annunziare e ri-annunziare continuamente il Cristo vittorioso nella forma più semplice e più radicale.
Questa è la prima cosa che dobbiamo chiederci: per noi la croce è questo?.
Oppure è un simbolo che sentiamo lontano, circondato magari da una certa devozione, ma che non incide profondamente la nostra vita, come se non la descrivesse, mentre il crocefisso descrive la nostra vita di cristiani che sono stati coinvolti nel battesimo, attraverso il battesimo, nel mistero della morte del Signore e sono risorti per sempre della sua resurrezione.

Da questa croce amata, vissuta e adorata - perché poi la croce del Signore diventa nella vita della Chiesa e dei cristiani, una immedesimazione quotidiana. Noi viviamo la croce del Signore ogni giorno nel contesto della nostra vita, fatta di mortificazioni, di sacrifici, fatta di sconfitte, ma di sconfitte e di sacrifici che viviamo con la certezza lieta che, attraverso il sacrificio che viviamo, matura in noi la resurrezione del Signore.
Da questo crocefisso è certamente nata e rinata nella vita del popolo cristiano una grande capacità di missione; il crocefisso è stato un segno missionario, non a caso la Chiesa lo ha consegnato da sempre a coloro che hanno scelto nella Chiesa di essere missionari del Signore in senso radicale, fisico, fino agli estremi confini del mondo e il crocefisso innalzato di fronte a quelle popolazioni che dovevano essere coinvolte nell’annunzio della fede, è stato il primo gesto dell’evangelizzazione.
La croce è stato il grande annunzio per coloro che ancora non erano stati coinvolti nel mistero della fede ed è stato, insieme, lo strumento primo, iniziale di questa missione, quello che si è imposto anche quando i missionari e le popolazioni a cui erano mandati non sapevano neanche condividere le parole di un comune alfabeto, le parole di un comune linguaggio.
Il crocefisso è stato ponte di dialogo e di comunicazione fra la certezza della fede e questa attesa della fede, cha animava le più diverse popolazioni.
Ma la croce ha segnato, anche nella vita della Chiesa e nella vita dei cristiani, un grande movimento di carità, di compassione: le braccia aperte del Signore in croce sono diventate l’unico,vero, grande ethos della vita cristiana.
Nel crocefisso la Chiesa e ogni cristiano amano gli uomini di questo mondo, e in qualche modo, anche la nostra vita apre le sue braccia agli uomini.
La Chiesa si è fatta un punto di onore di soccorrere con il crocefisso la vita di ogni uomo; la croce è stata offerta al bacio di coloro che sono morti a milioni in campi di battaglia, il più delle volte per guerre assolutamente ingiuste.
Il crocefisso è stato offerto al bacio di coloro che morivano, magari dopo una vita miserevole, condannati dalla società.
I preti hanno portato a costoro, come ultimo viatico, il crocefisso che in qualche modo, ma realmente, redimeva anche una vita sbagliata e assurda e la rimetteva nel circolo della vita eterna di Dio.
La croce ha generato un grande movimento di missione e ha generato un grande movimento di compassione; è per questo, fratelli, è per questa fonte inesauribile di annuncio e di compassione che possiamo ben dire, e con molta convinzione e pertinenza, che l’influsso del crocefisso è andato anche al di là dello spazio di coloro che credono, di coloro che professano la fede nel Signore Gesù Cristo, crocefisso, morto e risorto.
Il crocefisso, nel suo stesso esserci, nel suo apparire, nel suo essere brandito di fronte alla società è diventato un fenomeno di cultura e di civiltà.
Il crocefisso ha reso meno indignitosa la vita degli uomini, meno violenta la società, più capace di comprensione, più capace di accoglienza, meno legata alle regole inesorabili ed empie di tutti gli aspetti e di tutti i livelli del potere: quello politico, economico, sociale.
La croce ha creato e crea un flusso di civiltà, con il suo stesso esserci, nella misura in cui la comunità la vede, la sente, la vive, l’afferma come il simbolo più chiaro, più concreto e più elementare dell’intero dogma cristiano, del mistero della morte e della resurrezione del Signore.

Questo non può essere strappato, prima che dalle mura delle nostre scuole o degli edifici pubblici, non può e non deve essere strappato dal nostro cuore. Ma lo potrebbe essere, se noi non ci impegniamo, ogni giorno, con la nostra vita come vita di fede, come riconoscimento del mistero di Cristo, come immedesimazione con lui, come voglia e desiderio di annunziarlo a tutti gli uomini, come impeto ad accogliere, dentro l’abbraccio della Chiesa e della nostra vita, ogni uomo che viene in questo mondo e ci passa accanto.
Questa della Corte europea è una decisione assolutamente sconsiderata e violenta perché, come ho già avuto modo di scrivere, esprime quella violenza anti cattolica che caratterizza, ormai, in maniera sempre più rilevante la vita della nostra società. Ma un avvenimento come questo è il dito di Dio puntato sulla nostra vita e che ci chiede: ma sei cristiano? Credi nel Signore Gesù crocefisso e risorto e questo crocefisso è per te la grande salvezza della tua vita?. “Salve crux spes unica”, salve o croce unica speranza per la vita dell’uomo.
Questo vorremmo re- imparare questa sera, questo vorremmo comunicarci anche nella tranquillità del nostro dialogo familiare o amicale, questo vorrei che fosse la grande testimonianza reciproca che da questa celebrazione eucaristica nasce nel cuore di ciascuno di noi perché possa essere comunicata a tutti coloro che incontriamo.
Un grande movimento di evangelizzazione, un grande movimento di compassione, fattore ineludibile e perciò non rinunciabile di un movimento di umanizzazione della vita della società che è ancora di fronte a noi come un fatto che esiste e resiste, nonostante gli interventi terribili che sono stati condotti nell’ultimo secolo per eliminare la presenza di Cristo dalla vita, dalla storia e dalla società.
Per questo fratelli, rinnoviamo in noi la fede pura e semplice di queste generazioni che hanno guardato il crocifisso come io ve l’ho comunicato.
Io ho ancora profondamente scritta nel mio cuore la commozione che ho provato quando ho incontrato il grande Cardinale Van Thuan; un Vescovo vietnamita che aveva trascorso più di 25 anni nei campi di concentramento e, liberato, venne a Roma e fu fatto Cardinale da Giovanni Paolo II e fu messo alla guida di uno degli uffici più significativi della Curia romana: il Consiglio Iustitia et Pax.
Nel primo ed unico incontro che ebbi con lui, mi mostrò una piccola croce di legno che egli si era in qualche modo costruita rubando nel campo di concentramento avanzi di tavole su cui passavano i carnefici e le vittime. Si era fatto una piccola croce che aveva sempre portato sulla sua casacca di detenuto e che nessuno osò toccare, nonostante la violenza e il terrore dei campi di concentramento che, come disse Giovanni Paolo II visitando il campo di sterminio di Auschwitz, “sono stati l’inferno costruito sulla terra dagli uomini che hanno rinnegato il mistero di Cristo”.
“Porto sempre quella croce- mi disse il Card. Van Thuan - e, quando mi è stato detto che il Papa mi avrebbe fatto Cardinale e sono entrato al Concistoro per ricevere i segni della dignità cardinalizia, ho stupito tutta la Basilica di S.Pietro, perché, avendo rinunciato alle molte croci che avevo ricevuto in omaggio per quel suo giorno grandioso, mi sono presentato davanti al Santo Padre che mi consegnava la berretta cardinalizia avendo sulle vesti di porpora quella piccola croce di legno che mi aveva fatto compagnia negli anni del sacrificio ma che, soprattutto, era stato il segno della mia fede. “

Forse verranno tempi in cui anche noi, laici o chierici, dovremo tenere di fronte al mondo la nostra croce come il Cardinal Van Thuan che la indossò tutti i giorni della sua vita, anche nel giorno solenne del suo cardinalato.
Ma è proprio per questa serena fiducia e su questa serena fiducia che noi abbiamo nel proclamare Cristo morto e risorto, salvezza dell’uomo e del mondo, che noi non possiamo non dire rapidamente, ma definitivamente, il giudizio su ciò che è accaduto.
E’ l’estrema espressione di quella apostasia da Cristo che il mondo moderno e contemporaneo hanno vissuto e vivono come il movimento della loro intelligenza e del loro cuore; ma fare apostasia da Cristo significa gravemente, quotidianamente, tragicamente fare esperienza dell’apostasia dell’uomo, da se stesso.
Quando i crocefissi saranno tolti e nella misura in cui i crocifissi saranno tolti alla vista, non solo dei cristiani ma di tutti gli uomini, allora si sarà aperto un varco terribile ad una nuova barbarie.
La croce ha domato la barbarie dei popoli barbari, come ha citato spesso il grande Papa Leone XIII; il rifiuto della croce potrebbe far sprofondare questa civiltà in una barbarie ben più grave, ben più dolorosa, ben più crudele, ben più impietosa delle barbarie sulle rovine delle quali, la Chiesa, seppe edificare quella grande civiltà cristiana che, a secoli di distanza, è per noi, ancora, punto di riferimento fondamentale ed un ideale indimenticato.
Preghiamo dunque il Signore perché, nel coraggio della nostra testimonianza quotidiana, brandendo il crocifisso forse prima e più che nel gesto fisico proclamando il crocifisso con la nostra vita, con la nostra fede, con la nostra speranza, con la nostra carità, con la nostra comunione vissuta, con la nostra vita cerchiamo di aiutare il mondo ad uscire da questo degrado terribile di umanità cui sembra condannarsi proprio nella misura in cui rifiuta l’immagine stessa del Salvatore.
Rendiamo, dunque, grazie alle circostanze che ci hanno consentito celebrando questa eucarestia, alla quale siete venuti così numerosi- e di questo io vi lodo- che si rinnovi in noi la fede pura e limpida dei poveri di Dio per i quali, nel corso delle generazioni, anche quando non sapevano parlare, e certamente non sapevano né leggere né scrivere e forse parlavano faticosamente, l’immagine del crocefisso era per loro la sintesi della loro vita quotidiana fatta di sacrificio e di letizia, fatta di certezza irresistibile che la vita avrebbe prodotto, nel suo cammino, il cambiamento definitivo, perché Cristo avrebbe agito nelle circostanze della loro vita.
Ma, soprattutto, brandendo il crocifisso di fronte agli uomini del loro tempo mettevano nella società un fattore irrinunciabile di compassione, di benevolenza, di umanità.
Che il Signore ci trovi pronti a questa testimonianza di Lui e a questa carità verso gli uomini che ci circondano.

Talamello, 12 Novembre 2009

+ Luigi Negri
Vescovo di San Marino-Montefeltro

 


Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

 
   

 home page - index

top               «      »