Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
  Storia
 

Omaggio al grande Abate e Dottore della Chiesa

Cronologia della vita di S. Bernardo di Clairvaux *

di Laura Dal Pra’

Infanzia e gioventù (1090‑1114)

1090
Un giorno imprecisato del 1090[i] nasce Bernardo, terzogenito dei signori di Fontaines‑les‑Dijon, località a poca distanza da Digione, nella diocesi di Langres, in Borgogna. La madre Aletta, figlia del potente Bernard de Montbard e di Humberga des Riceys, era nata a Châtillon‑sur-Seine verso il 1070 e, benché attratta dalla vita claustrale, era divenuta, appena quindicenne, sposa del miles castellionensis Tescelino, detto il Sauro per il colore dei suoi capelli. Questo cavaliere[ii] per rango e cultura inferiore alla moglie, era nato tra il 1050 e il 1060 da una; famiglia legata con vincoli di parentela alle migliori casate di Chátfflon. Svolgeva attività di fidato consigliere di Eudes I e, successivamente, di Ugo II, duchi di Borgogna. La sua rettitudine morale, ricordata da Guglielmo di Saint‑Thierry nella biografia di Bernardo (Vita prima, lib. I, c. I, 1, in P.L. 185, col. 227), trova ulteriore conferma nella sua giovanile partecipazione al viaggio del vescovo di Langres, Raymond, in Terrasanta. Ben si accordava quindi con le virtù cristiane della giovane sposa.[iii]
A proposito della nascita di Bernardo, l’autore del primo libro della Vita prima narra che Aletta, nel corso della gravidanza, ebbe un sogno premonitore. Vide un piccolo cane bianco, macchiato di rosso sul dorso, che abbaiava nel suo ventre. Ciò fu causa di turbamento profondo, finché un religioso non ne svelò il significato recondito: “… continuo ille spiritum prophetiae concipiens, quo David de sanctis praedicatoribus domino dicit, Lingua canum tuorum ex inimicis (Psal. LXXVI, 24); trepidanti et anxiae respondit: “Ne timeas, bene res agitur, optimi catuli mater eris, qui domus Dei custos futurus, magnos pro ea contra inimicos fidei editurus est latratus. Erit enim egregius praedicator, et tanquam bonus canis, gratia linguae medicinalis in multis multos morbus curaturus est animarum».[iv]
L’infanzia di Bemardo trascorre tranquilla in compagnia dei suoi fratelli che ben presto raggiungono il numero di sette: a Guido, Gerardo e Bernardo si uniscono infatti Umbelina, Andrea, Bartolomeo e Nívardo. La madre Aletta, la quale, come puntigliosamente annota il biografo (Vita prima, lib. I, c. I, 1, in P.L. 185, col. 227), aveva personalmente allattato i propri figli, disdegnando l’impiego di balie, si impegna ad allevarli nell’austerità e nel timor di Dio. Tale educazione trova, senza dubbio, fin dal principio, un terreno fertile nel giovane Bernardo: gravemente ammalato, egli ha la forza di sottrarsi alle pratiche di una fattucchiera (Vita prima, lib. I, c. II, 4, in P L. 185, col. 228).

1097‑1098
Il piccolo Bernardo viene inviato alla scuola dei canonici di SaintVorles a Chátillon‑sur‑Seine, dove i genitori possiedono una casa di famiglia. Qui ha modo di apprendere le materie del trivium (grammatica, retorica, dialettica), mentre sembra essersi accostato in misura minore a quelle del quadrivium (matematica, geometria, astronomia, musica).[v]
È proprio nella chiesa di Saint‑Vorles, fondata dal vescovo Brunone di Roucy tra il 980 e il 1016, che, secondo la tradizione, Bernardo viene a pregare l’immagine di Sainte Maríe du Cháteau, primo passo verso la sua futura devozione alla Vergine.

1107
Alcuni anni trascorrono tranquilli per i signori di Fontaines. Il 31 agosto del 1107, però, una improvvisa malattia colpisce la madre di Bernardo. Il lo settembre, Aletta muore. Era il giorno della festa di sant’Ambrosiano di Sarmatica, le cui reliquie erano gelosamente conservate nel castello. L’abate jarenton del monastero di San Benigno di Digione ne richiede la salma per deporla nella cripta della chiesa. Sarà lasciata colà fino al 1250, allorché i monaci di Clairvaux ottengono da Innocenzo IV l’autorizzazione di trasportarla al loro monastero, ove rimarrà fino alla rivoluzione francese.
Tra il 1107 e il 1110, il giovane Bernardo conduce a ChátilIon una vita spensierata allontanandosi dagli insegnamenti materni ed abbandonandosi, a detta di Guglielmo di Saint‑Thierry (Vita prima, lib. I, c. III, 6, in P.L. 185, col. 230), a pericolose amicizie. A più riprese si trova addirittura costretto a difendere la propria castità minacciata da insidie femminili (Vita prima, lib. I, c. III, 6‑7, in P.L. 185, coll. 230‑231).

1111
Gradualmente matura in lui il desiderio di ritirarsi dal mondo. Nel 1111, si reca all’assedio di Grancey‑Cháteau, al quale partecipano i fratelli Guido, Gerardo e Andrea che avevano abbracciato la carriera militare. Durante una visita in una chiesa, prende la decisione definitiva di entrare nel chiostro (Vita prima, lib. I, c. III, 9, in P.L. 185, col. 232). Subito la comunica ai parenti insieme al proposito di chiedere accoglienza a Cîteaux, monastero di recente fondazione, ma già rinomato nella regione per l’austerità della vita che vi si conduceva. Nel suo animo coltiva la segreta speranza di convertire alla vita monastica anche i propri congiunti.
Lo zio Gaudry è pronto a seguire il suo esempio, e così anche l’adolescente Bartolomeo. Non altrettanto disposti sono gli altri fratelli. Andrea è convinto ad associarsi a Bernardo solo in seguito ad una miracolosa apparizione della madre Aletta (Vita prima, lib. I, c. III, 10 in P.L. 185, col. 232); Guido, il primogenito, è invece ostacolato dalla opposizione della moglie Elisabetta, figlia del conte di Forez e madre di due bambine. Solo dopo una provvidenziale malattia «cognoscens quia durum sibi esset contra stimulum calcitrare»,[vi] essa lascia libero il marito di seguire la propria vocazione e, anzi, decide di ritirarsi a sua volta in monastero.
Si unisce infine anche Gerardo la cui ostinazione, originata dalle sue ambizioni militari, è sconfitta da una ferita al fianco riportata in battaglia e predetta dal fratello Bernardo (Vita prima, lib. I, c. III, 11, in P.L. 185, coll. 233‑234).
Nello stesso anno, Bernardo e i suoi parenti si riuniscono nel palazzo di famiglia a Chátillon per un periodo di preparazione all’entrata in monastero. Nel frattempo, ad essi si sono uniti Ugo di Vitry, il cugino Goffredo de la Roche‑Vanneaux e Roberto di Châtillon.

1113
L’accurato studio condotto dal Bredero sulla Vita prima induce a rifiutare, una volta per tutte, la tradizione, favorita e alimentata da Clairvaux con la diffusione della recensione B, relativa all’anno di ingresso di Bernardo e dei suoi trenta compagni a Cîteaux. Perpetuata dalla maggior parte delle biografie moderne sul santo,[vii] essa datava al 1112 l’entrata di questo nutrito gruppo di giovani nel noviziato, festosamente accolti dall’abate Stefano Harding. 1 suoi timori circa il futuro del nascente Ordine erano così fugati (Vita prima, lib. I, c. III, 18, in P.L. 185, coll. 236‑237).
Infatti «en avançant l’entrée de saint Bernard a Cîteaux, on désiderait rectifier dans la mesure du possible la donnée inexacte de la Vita prima, quant au rôle important joué par saint Bernard dans le développement et l’expansion de l’Ordre cistercien…”.[viii] In tal modo l’epoca dell’ingresso di Bernardo e dei suoi nell’abbazia veniva a precedere di almeno un anno la fondazione del monastero di La Fertè‑sous‑Grosle (Firmitas), avvenuta il 17 maggio del 1113. Era istituito così, in maniera implicita, un legame di causa ed effetto che, alla realtà storica dei fatti, si dimostra invece inconsistente. Il 1113 costituisce dunque per Bernardo l’anno di ingresso nel noviziato.

1114
Scaduto questo periodo di prova e di istruzione monastica, nell’aprile del 1114 i trenta novizi fanno professione solenne dinnanzi l’abate Stefano Harding. Poco dopo, proprio uno di loro, Ugo di Vitry, amico di Bernardo e convinto da lui a ritirarsi nel chiostro, malgrado l’opposizione di parenti ed amici (Vita prima, lib. I, c. III, 14‑15 in P.L. 185, coll. 235‑236), è scelto per la carica di abate della nuova fondazione di Pontigny, sorta il 31 maggio di quello stesso anno grazie alla generosità di Teobaldo IV conte di Champagne. Pontigny è la seconda abbazia – figlia di Cîteaux.

Giovane abate a Clairvaux (1115‑1126)

1115
L’anno seguente, il 25 giugno 1115, due colonie di monaci provenienti da Cîteaux fondano contemporaneamente le abbazie di Morimond, sotto la guida dell’abate Arnoldo di Schwarzenburg, e di Clairvaux, ambedue in diocesi di Langres. A capo della seconda, il cui insediamento nella selvaggia regione tra Troyes e Langres è favorito dal visconte Josbert de la Ferté,[ix] viene scelto Bernardo. Lo seguono, tra gli altri, i fratelli Guido, Gerardo, in qualità di cellerario, Andrea come portinaio, Bartolomeo, lo zio Gaudry, il cugino Roberto ancora novizio, e Gualtiero eletto priore.
Non ancora benedetto abate, Bernardo si dirige a Langres per ricevere la benedizione dal vescovo competente Joceran, il quale è però assente per i preparativi del concilio di Tournus (15 agosto 1115). Nell’impossibilità di rimandare ulteriormente, Bernardo si reca allora dal vescovo di Chalons‑sur‑Marne, Guglielmo di Champeaux, il dotto teologo che, divenuto canonico regolare, aveva aperto a Parigi la famosa scuola di San Vittore. Acerrimo avversario di Pietro Abelardo, di cui pure era stato maestro, egli si sentì subito stretto da grande amicizia a Bernardo.
Malgrado lo zelo del giovane abate, gli inizi del nuovo insediamento cistercense non sono dei più promettenti. Il capitolo sesto della Vita prima parla di ristrettezze e di penuria di vettovaglie. Contrattempi che solo interventi miracolosi, dovuti – ma ciò rimane ancora sottinteso – alla virtù di Bernardo, riescono in parte ad alleviare (Vita prima, lib. I, c. V, 25 e c. VI, 27, in P.L. 185, coll. 241‑143). La comunità monastica, ormai in preda allo scoraggiamento, viene rincuorata dalla “provvidenziale” visione di Bernardo, presaga di futura potenza: “vidit undique ex vicinis montibus tantam diversi habitus et diversae conditionis hominum multidinem. in inferiorem vallem descendere ut vallis ipsa capere non posset».[x]

1117
È con ogni probabilità da datare all’incirca a questo periodo l’abbandono di Clairvaux da parte di Roberto di Châtillon, dietro istigazione del gran priore di Cluny che, recatosi nell’abbazia di Bernardo durante un’assenza di questi, gli aveva prospettato un’esistenza ben più agiata nella grande abbazia borgognona.
Il passaggio causa un grande dolore all’abate, oltre a costituire il primo grave episodio di attrito tra il potente Ordine cluniacense e i Cistercensi.[xi] Bernardo non può però porvi rimedio, almeno per il momento. Dal punto di vista giuridico Quny era infatti inattaccabile. Roberto era stato offerto ancora in tenera età dai genitori con parte dell’eredità al monastero cluniacense e inoltre un privilegio di Urbano II del 1097 concedeva a Cluny la facoltà di accogliere – contrariamente a quanto prescritto dalla Regola benedettina – monaci transfughi anche qualora si conoscesse il loro monastero di provenienza.[xii]
Roberto farà ritorno a Clairvaux solamente nel 1128.

1118
Nel corso del 1118 si verifica un primo duro attacco della malattia di stomaco di cui Bernardo soffrirà quasi costantemente nella sua vita, irriguardoso com’era verso il proprio corpo, minato da digiuni e privazioni. Il vescovo Guglielmo di Champeaux, messo al corrente delle condizioni di salute del suo giovane amico, interviene al Capitolo generale di Cîteaux, ottenendo la nomina, per l’arco di un anno, a superiore di Bernardo.
Il giovane abate deve così assoggettarsi allo stretto isolamento deciso da Guglielmo: abitare in una casetta discosta dal chiostro, lontano da ogni preoccupazione di governo e svincolato da ogni pratica penitenziale (Vita prima, lib. I, c. VII, in P.L. 185, col. 246).
Il 1118 segna una data importante anche per la storia dell’abbazia di Clairvaux. Il monastero sale infatti al rango di proto‑abbazia, in pari grado con Cîteaux, La Ferté e Pontigny, e con conseguenti privilegi decisionali nei Capitoli generali. Morimond, fondata contemporaneamente a Clairvaux, dovrà attendere un tale riconoscimento fino al 1157.
Il 10 ottobre dello stesso anno l’abbazia bernardina, ormai superate le iniziali difficoltà, è in grado di fondare il monastero di Trois Fontaines (dioc. Chalons), dietro un’offerta di terre da parte di Ugo di Vitry: si tratta della prima di una lunga serie di filiazioni che alla morte di Bernardo (1153) conterà già un centinaio di insediamenti sparsi in tutta Europa.

1119
Bernardo, momentaneamente guarito dall’attacco di gastrite, viene reintegrato nelle sue funzioni abbaziali. Il Piccolo gruppo familiare, che si era ricostituito tra le mura di Clairvaux, è accresciuto ulteriormente dall’arrivo del giovane fratello Nivardo. Ormai, della casata di Fontaines, gli amici rimasti “nel mondo” sono la sorella Umbelina. andata in sposa a Guglielmo, signore di Marey, e il padre Tescelino.
Ma Bernardo, che non desiste dal proposito di convertire ambedue alla vita monastica, aspetta solo l’occasione propizia per esercitare la propria influenza. Per Umbelina non tarda a offrirsi: in visita ai fratelli, viene duramente rimproverata per lo sfoggio di vesti e ricchezza. Ne segue una seria crisi morale che nel 1124 la indurrà a ritirarsi nel monastero femminile di Jully‑les‑Nonnais di cui diverrà in seguito la priora (Vita prima, lib. I, e. VI, 30, in P.L. 185, coll. 244‑245).
Anche per il padre Tescelino, le speranze di Bernardo non vanno a lungo deluse: infatti, in una sosta a Châtillon durante un viaggio alla volta di Cîteaux, riesce a convincere il vecchio cavaliere a prendere l’abito. Morirà l’anno seguente.

1120
Nel 1120 l’abate di Clairvaux trova il modo di aiutare Norberto, fondatore dei Canonici regolari premostratensi, a installarsi nella valle di Premontrè, nel territorio di Laon (ep. 255). Questa circostanza segna l’inizio di una durevole amicizia e di un vicendevole appoggio tra l’Ordine cistercense e i Canonici norbertini.

1121
Per il 1121 non si registra alcun avvenimento degno di nota nella vita di Bernardo, a parte il dolore causato dalla scomparsa del suo premuroso amico Guglielmo di Champeaux.
È al contrario una data determinante per il destino di Pietro Abelardo, protagonista in seguito di un duro scontro con l’abate di Clairvaux. Il maestro palatino, allora quarantaduenne, viene accusato del suo insegnamento nel concilio di Soissons, convocato dall’arcivescovo di Reims, Rodolfo. La frettolosa condanna, di cui lo stesso legato apostolico, Conone di Palestrina, sembra pentirsi, porta al rogo il trattato De unitate et trinitate Dei e alla reclusione perpetua del suo autore nel monastero di Saint‑Medard.

1123
Il 1123 scorre tranquillo a Clairvaux. Unico avvenimento di nota è l’elezione di Bartolomeo, fratello di Bernardo, alla carica abbaziale di La Ferté.

1124
L’anno seguente segna invece l’inizio di cattivi raccolti e di carestie che colpiscono la regione borgognona a cavallo dell’inverno 1124‑1125. Se questa situazione di emergenza trova preparate Cîteaux, La Ferté e Clairvaux – la quale è addirittura in grado di organizzate e distribuire soccorsi alla popolazione –, non altrettanto si può dire per la quarta figlia di Cîteaux, Morimond, retta da Arnoldo di Schwarzenburg. L’abate, antico compagno di noviziato di Bernardo a Cîteaux, rifiuta l’aiuto offerto dagli abati degli altri insediamenti cistercensi e concepisce autonomamente l’idea di una fondazione in Terrasanta, mettendola subito in atto con l’appoggio di alcuni suoi monaci.
In tale frangente, che metteva in pericolo la stessa autorità dell’abate di Cîteaux, emerge per la prima volta in modo inequivocabile il ruolo di “arbitro” della situazione che Bernardo viene a rivestire. In assenza dell’abate di Cîteaux in viaggio nelle Fiandre, è infatti lui che s’incarica di scongiurare l’iniziativa morimondese. Vista l’inutilità dei propri sforzi, fa appello a Callisto II e all’arcivescovo di Colonia (epp. 4, 6, 7, 359). E forse non a caso, dopo la “provvidenziale” morte di Arnoldo, avvenuta il 3 gennaio 1125, e il recupero dei monaci dissidenti, è proprio il priore di Clairvaux, Gaucher, che viene nominato abate di Morimond († 1138), al quale succederà poi Ottone di Frisinga, nipote di Federico Barbarossa.[xiii]
In sostanza, dopo questi primi anni di abbaziato, tutti trascorsi all’interno e a favore della comunità di Clairvaux, la fama di Bernardo come abate e taumaturgo[xiv] è così affermata da permettergli interventi al di fuori delle mura claustrali sempre più frequenti e sistematici, come dimostra il volume della sua corrispondenza.
L’il novembre Bernardo assiste alla consacrazione della chiesa abbaziale di Foigny, terza filiazione di Clairvaux, non prima di aver scacciato un nugolo di mosche che “diabolicamente” la infestava (Vita prima, lib. I, c. XI, 52, in P.L. 185, col. 256).[xv]
Il 13 novembre muore Callisto II, la cui elezione era stata sostenuta dalla potente famiglia dei Pierleoni. Il conclave per la scelta del nuovo pontefice si svolge nella cappella di San Pancrazio in Laterano, dopo i rituali tre giorni di intervallo. Alla scelta del cardinal diacono dei SS. Cosma e Damiano, Teobaldo, si oppone con un colpo di mano Roberto Frangipane, il quale riesce a far acclamare col nome di Onorio II il cardinale vescovo di Ostia, Lamberto. Teobaldo, allo scopo di evitare eccessi, rinuncia alla propria elezione. Il fatto segna l’affermazione della famiglia dei Frangipane, sostenitori del nuovo papa, a scapito dei Pierleoni.
A questa elezione pontificia risale il primo scontro frontale tra le due potenti famiglie, premonitore di quello, ben più denso di conseguenze, dei 1130.

1125
Nel 1125 un nuovo attacco del male colpisce Bernardo. Guarisce grazie all’intervento della Vergine, apparsa in compagnia dei santi Benedetto e Lorenzo (Vita prima, lib. I, c. XXI, 58, in P.L. 185, coll. 258‑259). Nello stesso anno, a Langres, prende parte attiva alla trasformazione dei Canonici secolari di Santo Stefano di Digione in Canonici regolari e all’elezione dell’abate Herbert (ep. 59).
Ai suoi successi si aggiunge la trasformazione del monastero benedettino di Tart, a poca distanza da Digione, nel primo insediamento di monache cistercensi, favorita ad Arnolfo Cornu e sua moglie Omelina.
Il 23 maggio muore l’imperatore Enrico V a Utrecht senza lasciare alcun erede. I principi elettori si accordano sulla nomina di Lotario di Supplinburgo quale suo successore, scartando la candidatura del duca Federico di Svevia. Il 30 agosto si ottiene il riconoscimento pontificio della legittimità dell’elezione imperiale.

1126
Il 1126 scorre tranquillo senza registrare alcun avvenimento degno di nota per Bernardo e la sua abbazia claravallense.
Primi impegni extraclaustrali (1127‑1129)

1127
L’anno seguente offre invece l’occasione all’abate di intervenire pet la prima volta in una vicenda non più legata all’ambiente monastico, ma anzi travalicante questi confini. Infatti al Capitolo generale convocato a Cîteaux nel mese di settembre, come ogni anno, si presentano l’abate Ugo di Pontigny ed Enrico le Sanglier, arcivescovo di Sens, con la richiesta di appoggio da parte cistercense all’operato di Stefano di Senlis, arcivescovo di Parigi.
Questo alto personaggio, consigliere apprezzato di Luigi VI, dopo un’intera vita passata presso la corte, si era convertito ad una esistenza più confacente al suo stato religioso, forse su esempio di Suger di Saint‑Denis – col quale proprio nel 1127 Bernardo si congratula per la riforma del suo monastero (ep. 78) – o in seguito alla lettura dell’Apologia bernardina. Per tale motivo aveva preso la decisione di sostituire i canonici di Notre-Dame con i chierici dell’abbazia di San Vittore, provocando così le proteste dei primi ed il loro appello al giudizio del re.
Dal canto suo il re coglieva subito l’occasione del diverbio per procedere alla confisca di tutti i beni dell’arcivescovado.
Il coinvolgimento dell’Ordine cistercense in questo contrasto derivava dall’affiliazione ad esso di Luigi VI. Tale pratica era consueta nel Medioevo al fine di fruire dei suffragi e dei meriti dei religiosi.
La speranza di Ugo di Pontigny e di Enrico le Sanglier era quindi che l’Ordine cistercense fosse in grado di intervenire presso il re. L’interdetto scagliato contro Luigi VI da Enrico, all’indomani dell’incameramento del patrimonio arcivescovile, aveva infatti solamente contribuito ad inasprirlo e irrigidirlo nelle sue posizioni. Bernardo viene incaricato di redigere una supplica che però rimane senza risposta. Parimenti senza risultato è il successivo incontro di Bernardo con Luigi VI, niente affatto intimorito dalle minacce di divino castigo pronunciate dall’abate a riguardo del primogenito regale. Una nuova lettera di Bernardo a Onorio II convince il pontefice, che nel frattempo aveva tolto l’interdetto su Luigi VI, provocando perplessità nel clero francese, di inviare un suo legato per porre fine alla vicenda.

1128
Si giunge così alla convocazione del concilio di Troyes, apertosi sotto la guida del cardinale legato, Matteo d’Albano, il 13 gennaio 1128. Il contrasto tra re e arcivescovo di Parigi viene appianato.
Sempre in quest’occasione, che vede l’intervento sia dell’abate Stefano di Cîteaux sia di Bernardo, è approvato l’Ordine dei Cavalieri del Tempio, guidato da Ugo di Payns e Goffredo di Saint‑Omer.[xvi] Tale riconoscimento ecclesiastico era necessario allo sviluppo di questa iniziativa in quanto contribuiva in modo determinante alla sua notorietà e, di conseguenza, al suo successo.
Il legame dei Templari con l’Ordine cistercense – di cui adottavano la regola con qualche opportuna modifica – e in particolare con Bernardo che ne rivestì quasi il ruolo di teorico, scrivendo il De laude novae militiae, è ribadito dalla nomina a gran maestro dello zio materno, Andrea di Montbard.
L’intervento bernardino nelle vicende pubbliche diviene sempre più frequente e non manca di suscitare le prime critiche. Come il Talbot afferma, «il suo zelo di riformatore lo spronava a cercar di mettere ordine anche negli affari altrui, senza esserne direttamente interessato. Sembra che egli avesse l’idea che la correzione dell’intera Chiesa, giù giù fino al suo più umile membro, fosse di sua diretta responsabilità. Tutto quello che giungeva al suo orecchio, fosse una diceria su dissensi interni nei monasteri, o una voce circa la corruzione di un legato papale, gravava sulla sua coscienza. Come un profeta dell’Antico Testamento egli impugnava immediatamente la penna per attaccare qualsiasi abuso. E in queste occasioni egli dice: Ego liberavi animam meam».[xvii]
Sempre nel 1128, egli prende posizione contro Stefano di Garlanda, arcidiacono di Notre‑Dame, decano di Orleans, nonché personaggio influente presso la corte di Luigi VI. Sarà con malcelata soddisfazione che apprenderà le circostanze per cui questi, caduto in disgrazia, è costretto a ridimensionare le proprie ambizioni.
È forse da collocare cronologicamente in quest’arco di tempo l’incontro di Bernardo con Norberto, fondatore dei Canonici regolari di Premontré, il quale gli predice la venuta dell’anticristo prima della propria morte (avvenuta nel 1134) (ep. 56). È giocoforza ricordare lo scoppio scisma del 1130 e l’attiva campagna dei denigratori di Anacleto II, che non tarderanno a definirlo proprio in questo modo.

1129
Il 2 febbraio 1129 viene celebrato a Châlons‑sur‑Marne un nuovo concilio presieduto ancora una volta dal cardinale legato Matteo d’Albano. Presente all’essemblea, anche in quest’occasione, è Bernardo: egli induce il vescovo Enrico di Verdun, contro il quale si erano levate accuse di simonia, a dimettersi dalla sua carica.[xviii]
Il mese successivo fa visita, in compagnia di Guido e Gerardo, alla sorella Umbelina, monaca a Jully‑les‑Nonnais. Il 14 aprile assiste alla cerimonia dell’incoronazione di Filippo, figlio primogenito di Luigi VI, nella cattedrale di Reims.
È in questo periodo che gli viene rivolto dal cardinale Aimerico un rimprovero per la sua troppo zelante attività esterna alle mura claustrali. Si tratta del primo autorevole appunto dei molti che, soprattutto in seguito, gli saranno rivolti dai suoi detrattori e contro i quali si troverà spesso nelle condizioni di doversi difendere.

Lo scisma (1130‑1138)

1130
Con il termine “scisma del 1130” si suole indicare il dissidio creatosi in occasione della successione a Onorio II all’interno di due partiti romani, espressione di interessi prevalentemente locali, ma anche del diverso modo di intendere la gestione pontificia. Solo in un secondo tempo coinvolgerà l’intera cristianità.[xix]
Allo sviluppo e alla conclusione di tale evento si lega gran parte della produzione letteraria e dell’attività oratoria e diplomatica di Bernardo, svolta in un arco di tempo che va dal 1130 all’estinzione ufficiale dello scisma avvenuta nel 1138, ma anche oltre. Ciò comporta la necessità di soffermarsi in modo più dettagliato su di esso.
I primi di febbraio del 1130, Onorio II, gravemente ammalato, viene trasportato dal palazzo lateranense al monastero fortificato di San Gregorio al Celio, per timore di conseguenze cruente all’annuncio della sua prossima fine. Infatti, già tra il 7 e l’8 febbraio, il popolo, dando fede alla notizia della morte del pontefice, tumultuava preparandosi ai tradizionali saccheggi e veniva sedato solo con la breve apparizione di Onorio II alla finestra.
Nella notte tra il 13 e il 14, il pontefice muore. Da tempo comunque sono iniziati gli intrighi nel collegio cardinalizio. Lo stesso giorno della morte di Onorio II, viene eletto, nel monastero di San Gregorio, il cardinale diacono di Sant’Angelo, Gregorio Papareschi[xx] col nome di Innocenzo II, grazie all’appoggio della famiglia Frangipane e del cancelliere Aimerico.[xxi]
L’unico elemento di legittimità di questa elezione è costituito dalla partecipazione ad essa di cinque degli otto cardinali ai quali, il 12 febbraio, il collegio cardinalizio aveva demandato la decisione nel tentativo di evitare troppo ampie discussioni. Si tratta però della maggioranza, quando invece era necessaria una seduta plenaria, da tenersi tre giorni dopo i funerali del papa. La mattina del 14, i cardinali, il clero, i maggiorenti cittadini e il popolo romano, riuniti i San Marco in attesa di notizie sulla salute di Onorio, vengono informati dell’avvenuta elezione del cardinale di Santa Susanna, Pietro di Pisa che vanamente vi si era opposto. Senza indugio si provvede ad un’altra elezione in cui viene scelto il cardinale di Santa Maria in Trastevere, Pietro Pierleoni, che assume il nome di Anadeto II.[xxii]
Anche questa nuova elezione è indebolita dal punto di vista giuridico da vizi di forma: insufficienza numerica di cardinali vescovi elettori anche se i cardinali che la sottoscrissero erano numerosi, il mancato annullamento della precedente, l’inosservanza dell’intervallo di tre giorni.
Fino dal giorno successivo alla duplice elezione, Anacleto Il si impadronisce con saccheggi e ruberie – a detta di Ernaldo di Bonneval (Vita prima, lib. II, c. I, 1, in P.L. 185, coll. 268‑269) – dei punti chiave della città.
Il 23 febbraio ha luogo la consacrazione contemporanea dei due papi: Anacleto II in San Pietro, nella chiesa cioè usata tradizionalmente a questo scopo e caduta nelle sue mani; Innocenzo II in Santa Maria Nova, di cui è titolare il suo principale sostenitore Aimerico. «Ma consacrante del Pierleoni era Pietro vescovo di Porto; del Papareschi, Giovanni di Ostia: e doveva esservi in questo un elemento di pregiudizio per l’uno, di vittoria per l’altro. Chè, per tradizione risalente ai primi tempi del primato di Roma, la consacrazione del pontefice era attribuita al vescovo di Ostia; mentre il vescovo di Porto, pur avendo qualità di secondo consacrante, non adempiva nella cerimonia che a funzioni minori. E la maggior legittimità del luogo della consacrazione».[xxiii]
I primi giorni di maggio, Innocenzo II, abbandonato dai Frangipane e difeso solamente dalla propria famiglia Papareschi, che a Roma non contava molti seguaci, prende la risoluzione di lasciare la città alla volta di Pisa.
I due eletti non avevano tardato a rendere partecipe tutta la cristianità della loro nomina. Varie lettere sono inviate da ambedue le cancellerie a Lotario e agli altri sovrani nel tentativo di procacciarsene l’adesione, contribuendo così ad allargare le ripercussioni della lotta romana.
A parte il leggero anticipo delle missive di Innocenzo II, questo papa vantava presso l’imperatore Lotario un fedele sostenitore nella persona dell’arcivescovo di Magdeburgo, Norberto e, in Francia, l’appoggio determinatogli da molti cardinali, espressione sia del clero sia dell’Ordine cluniacense e cistercense. Di contro, Anacleto II poteva far leva in Francia sull’ampio numero di conoscenze ed amicizie di carattere personale di cui godeva fin dai tempi della propria giovinezza. Inoltre si guadagna ben presto l’appoggio dell’intera Aquitania, grazie all’adesione al suo partito del potente e dotto vescovo di Angoulême, Gerardo II,[xxiv] e del duca Guglielmo X.
È anche tramite Gerardo, in stretti rapporti con il clero inglese – data la situazione politica dell’Aquitania – che Anacleto II sembra trovare sostenitori presso la corte del re Enrico I ed ancor più presso gli alti prelati. Il fatto trova conferma nelle parole di Ernaldo quando narra le difficoltà incontrate dall’abate di Clairvaux nell’indurre il re d’Inghilterra a mutare campo: «… quem vix persuasit Innocentium recipere, ab episcopis Angliae penitus dissuasum”. (Vita prima, lib. II, c. 1, 4, in P.L. 185, col. 127). Non giovano affatto invece le lettere di Gerardo e della cancelleria di Anacleto II, inviate al clero e ai sovrani spagnoli, che non tarderanno a prendere le parti di Innocenzo II.
Mentre Anacleto II consolidava le proprie posizioni a Roma, Innocenzo II è accolto benevolmente dai pisani, la cui potenza economica e politica, derivata dallo sviluppo dei loro traffici marittimi, era solo frenata, ma certo non indebolita, dal contrasto con Genova. Nella necessità di poter contare nell’appoggio di ambedue le città in caso di un’eventuale offensiva da parte anacletiana, Innocenzo II riesce ad imporre loro una tregua, in attesa di dirimere la questione sul controllo della Corsica, causa di tutti i dissensi.
Poco dopo, nel mese di agosto, giunge via mare in Francia. Lì attende le decisioni del concilio di Etampes convocato da re Luigi VI per decidere di concerto con il clero e gli Ordini monastici a quale dei due eletti dare appoggio. È presente anche Bernardo, dietro invito dello stesso re: all’abate di Clairvaux ed alla sua ispirata orazione è spesso attribuito il merito del conclusivo orientamento dei partecipanti all’assemblea in favore di Innocenzo. In realtà occorre ridimensionare l’effettivo peso di Bernardo a Etampes, dal momento che l’adesione dell’Ordine cluniacense era scontata, e quantomeno presumibile quella di un gruppo di vescovi e dei nuovi Ordini cistercense – di cui però non bisogna sopravvalutare la vera portata – e premostratense.
Il consenso va alla scelta fatta dalla pars sanior del collegio cardinalizio – secondo quanto più si confaceva agli ideali di riforma monastica della Cluny di Pietro il Venerabile e di Bernardo (ep. 126) – tralasciando ogni considerazione sulla maggior o minor conformità delle due elezioni al diritto canonico.
La notizia dello schieramento francese a fianco di Innocenzo II viene portata dall’abate Suger di Saint‑Denis al papa, ospite dell’abbazia di Cluny. Di lì a poco lo raggiunge quella dell’adesione di Lotario di Supplinburgo. Anche questa decisione era stata presa di concerto con le maggiori autorità civili e religiose dell’impero, nel corso della dieta di Würzburg, convocata nella prima metà di ottobre. Figura carismatica di questa assemblea, sebbene di minor influenza di Bernardo, è Norberto, arcivescovo di Magdeburgo e fondatore dei Premostratensi.
Da Cluny, Innocenzo II inizia una lunga serie di visite pastorali nelle varie diocesi francesi, costellata di molteplici concili e di atti di governo che non mancano di procurargli ampia notorietà e consensi. Nel concilio di Clermont, aperto il 18 novembre e culminante con la solenne pronuncia di anatema contro Anacleto, è presente anche Bernardo. Il suo intervento prova la considerazione di cui gode presso il pontefice e proprio un monaco della sua abbazia, il pisano Baldovino, successore nel 1137 all’arcivescovo di Pisa, Uberto, diviene il primo cardinale del giovane Ordine cistercense.

1131
Tra la fine di dicembre e i primi giorni del gennaio 1131 ha luogo lo storico incontro tra Innocenzo II e il re Luigi VI nell’antica abbazia benedettina di Saint Benoî‑sur‑Loire.
Prima del 13 gennaio, Bernardo, che si trova in compagnia di Suger presso il papa, viene inviato presso il re Enrico di Inghilterra, presente allora in Normandia. Era importante infatti assicurare il suo favore alla causa. Dopo le prime esitazioni, anche il re inglese fa atto di sottomissione all’autorità di Innocenzo II, nel corso di una solenne cerimonia tenutasi a Chartres il 13 gennaio. La Scozia tuttavia parteggia ancora per Anacleto II.[xxv]
Nel frattempo, in Italia, Ruggero I di Sicilia aveva segnato un altro punto a suo favore: il giorno di Natale del 1130 si era fatto consacrare rex Siciliae et Calabriae et Apuliae et universae terrae nella cattedrale di Palermo da un inviato di Anacleto, il cardinale Comes di Santa Sabina. Il Pierleoni, riconoscendo e legittimando il dominio normanno, si era fatto così un potente alleato in vista di uno scontro armato con le forze imperiali ed innocenziane.
Il 22 marzo a Liegi, l’imperatore Lotario dà il proprio riconoscimento solenne all’autorità pontificia di Innocenzo II unitamente alla promessa di scendere in Italia in suo sostegno di lì a cinque mesi. Come contropartita, Lotario tenta di recuperare il diritto all’investitura dei vescovi con il pastorale e l’anello cui aveva rinunciato il suo predecessore Enrico V con il concordato di Worms del 23 settembre 1122. La manovra è però sventata decisamente dall’intervento di Bernardo che «audacter enim resistens regi, verbum malignum mira libertate redarguit, mira auctoritate compescuit».[xxvi] Appianata la questione, Innocenzo II scaglia la scomunica su Anacleto II e sul duca di Franconia, Corrado di Hoben staufen, l’avversario di Lotario che aveva ricevuto la corona imperiale nella chiesa di San Michele a Monza, dalle mani dello scismatíco arcivescovo di Milano, Anselmo della Pusterla (29 giugno 1128). Il 29 marzo viene celebrata l’incoronazione imperiale di Lotario e della moglie Richinza.
In questo stesso anno ha luogo il primo scontro a distanza tra Bernardo e Pietro Abelardo[xxvii] a proposito della sostituzione arbitraria – a giudizio del primo – del termine cotidianum con supersubstantialem nella recita del Pater noster, operata dalle monache del Paracleto.[xxviii] I due si erano già conosciuti di persona a metà gennaio in occasione della consacrazione da parte di Innocenzo II della chiesa di Morigny in Normandia.[xxix]
Nel mese di maggio, Bernardo raggiunge nuovamente il pontefice a Rouen – dove è presente anche Enrico I d’Inghilterra – e lo accompagna nelle sue tappe a Perriers‑sur‑Andelle, Beauvais, fino a Compiègne. Di lì fa ritorno alla propria abbazia per preparare le accoglienze a Innocenzo II, desideroso di visitare Clairvaux. Il periodo che va dalla fine di maggio a settembre, quando l’attesissimo ospite giunge, è fecondo di nuove fondazioni della linea claravallense, allo scopo di ridurre l’affollamento nell’abbazia: Cherlieu nella diocesi di Besançon e Eberbach in quella di Magonza sono tra queste. Grande è l’impressione suscitata dall’austerità della vita condotta nell’abbazia bernardina sia sul corteo papale che sullo stesso Innocenzo II (Vita prima, lib. II, c. I, 6, in P.L. 185, col. 272).
Il 18 ottobre 1131 si apre il concilio di Reims sotto la presidenza di Innocenzo II. Tra i tredici arcivescovi, i 263 vescovi e gli abati di ogni Ordine, che vi prendono parte, è certa la presenza di Bernardo. In questa occasione viene ratificata l’adesione al partito innocenziano di Francia, Germania, Inghilterra e Spagna cui si uniscono i tre patriarchi di Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli fino ad allora esitanti.
Pochi giorni prima, il 13 ottobre, il figlio primogenito di Luigi VI, Filippo, che due anni prima era stato associato al regno, era morto in seguito ad una caduta da cavallo. È facile che tornino alla mente le dure minacce di castigo divino pronunciate dall’abate di Clairvaux nel 1127, in occasione del contrasto nato tra Luigi VI e Enrico di Sens. Considerazioni di opportunità politica consigliano allora di procedere alla consacrazione del secondogenito del re, approfittando della solenne riunione.

1132
Il 7 gennaio, con la partenza da Auxerre, dove aveva trascorso le festività natalizie, Innocenzo II inizia il lento viaggio di ritorno alla volta dell’Italia. A Lione esonera l’Ordine cistercense dal tributo annuo a favore di Cluny, ponendolo sotto il diretto patrocinio della Santa Sede.
Contro questo privilegio rimangono inascoltate le proteste di parte cluniecense, manifestazioni di un malumore che non poche volte causerà seri contrasti tra i due Ordini benedettini.
Valicato il Monginevro, il corteo papale giunge ad Asti dove, il 10 aprile, Innocenzo II celebra la Pasqua.
Frattanto Bernardo, dopo un vano tentativo condotto da Pietro il Venerabile, cerca a sua volta di indurre lo scismatico duca Guglielmo di Aquitania a mutate militanza. Con tale intento nel gennaio del 1132, l’abate di Clairvaux, in compagnia del vescovo Joscelin de Vierzy, giunge all’abbazia di Montierneuf di Poitiers, dove sembra ottenere il ravvedimento dell’anziano feudatario. Si tratta però di un consenso passeggero, se poco tempo dopo, nelle lettere 126 e 128, Bernardo è costretto a riconoscere il proprio insuccesso, dovuto probabilmente al grande ascendente del vescovo Gerardo sul duca Guglielmo. Un tumulto anti‑innocenziano conduce persino alla distruzione dell’altare su cui l’abate claravallense aveva celebrato la messa (Vita prima, lib. II, c. VI, 36, in P.L. 185, col. 289). Lo scisma aquitanico è quindi destinato a continuare ancora, favorito anche dalla riluttanza di Luigi VI ad affrontare in un conflitto armato il duca Guglielmo X.
Intanto papa Innocenzo II cerca di accrescere in alta Italia il numero di adesioni alla sua causa. Il 13 giugno si apre il concilio di Piacenza con la convocazione di tutti i vescovi lombardi, mentre dal 14 luglio è a Modena per sedare i tumulti provocati dalla predicazione di Arnaldo da Brescia.[xxx]
Il 24 luglio segna l’insperata sconfitta di Ruggero di Sicilia, a Nocera, ad opera delle truppe del duca di Capua, Roberto II, e del conte Rainolfo d’Alife. Battuto ma non prostrato, nonostante il sorgere di innumerevoli odi mai sopiti e di rivolte contro i suoi propositi accentratori, il re normanno si ritira in Sicilia per raccogliere nuove forze.
Mentre Bernardo, chiamato in Italia dal pontefice, porta a termine i preparativi per una assenza prolungata dall’abbazia, l’8 novembre Innocenzo II si incontra a Roncaglia di Piacenza con l’imperatore Lotario, giunto in suo aiuto con soli 1500 uomini e 300 cavalieri fornitigli dal duca di Boemia, Sobieslao.
In Italia settentrionale le forze dei due papi in certa misura si equilibrano, con Verona, Brescia, Crema e Milano anacletiane; Novara, Cremona, Pavia, Piacenza, Bologna e Pisa innocenziane.
Nel meridione con Ruggero e nel centro con l’influenza diretta del pontefice di Roma, lo schieramento è decisamente anacletiano. A ciò si aggiungano le simpatie pierleonesche della potente abbazia di Montecassino, il cui antico abate Oderisio era stato deposto arbitrariamente da papa Onorio II, favorito dei Frangipane. Anacleto non tarda a rendere salda quest’alleanza, favorendo in tutti i modi l’abbazia e ribadendone la libertà di governo. Al contrario questa manovra rimane senza esito nei riguardi di Farfa, la cui fondazione imperiale ed antiromana pesa sulla scelta di campo.
Dopo l’incontro di Roncaglia, Innocenzo II si dirige alla volta di Pisa, dov’è raggiunto da Bernardo. Lotario continua invece la sua discesa lungo la penisola, impiegando tutto l’inverno nell’attraversare la Toscana, regione sì di tendenza innocenziana, grazie all’azione dei Vallombrosani di Bernardo degli Uberti e dei Camaldolesi, ma scarsamente propensa a interventi attivi.
A Pisa da molto tempo si attende la composizione, in via definitiva, della pluriennale quesione del controllo della Corsica che vedeva opposte tra loro Pisa e Genova, due potenti città marinare la cui alleanza era potenzialmente molto utile alla causa del papa. Proprio per tale motivo, urgeva una soluzione del conflitto, al quale la tregua, imposta da Innocenzo II ancora nel 1130, non aveva portato che temporaneo rimedio. Fin dal 1078 il vescovo di Pisa, dietro concessione di Gregorio VII, deteneva il diritto di legazia sulla Corsica – aprendone così le porte alla supremazia politica di questa città – e con il 1091 e 1092, date dell’erezione ad arcivescovado della sede pisana, le chiese corse ne erano divenute suffraganee. Dal 1118 Genova inizia le ostilità contro Pisa, sentendo, seriamente minacciate le proprie possibilità di espansione commerciale nonché territoriale nell’isola.

1133
Il trattato di pace, sottoscritto da Pisa e Genova tra il 20 e il 26 marzo 1133 a Corneto, grazie alla mediazione di Innocenzo II e al contributo dello stesso Bernardo, pone fine al contrasto. All’arcivescovo di Pisa viene concesso il primato sulla Sardegna, su tre vescovadi corsi (Aleria, Ajaccio, Sagona) e su quello di Populonia cui era annessa l’isola d’Elba, in cambio della perdita degli altri della Corsica. Genova viene invece innalzata a sede arcivescovile, con i tre rimanenti vescovadi corsi (Mariana, Nebbío e Accia) e quelli di Bobbio e Brugnato che, con il loro distacco dalla giurisdizione metropolitana di Milano, costituiscono un serio avvertimento di Innocenzo II alla città caparbiamente anacletiana e antimperiale.
Contrariamente alle apparenze, come acutamente osserva lo Zerbi, Genova risulta essere «la meno favorita dalla pace conclusa: se infatti la città ligure era ormai per dignità ecclesiastica sullo stesso piano della rivale, e ad essa si sostituiva in una metà dell’ambita Corsica, d’altra parte Pisa, oltre a rimanere saldamente attestata in quest’isola, si vedeva ufficialmente additata una nuova direttiva di espansione nell’altra area contesa, quella sarda, a proposito della quale nulla era invece detto di eventuali diritti genovesi. E a Genova certo si sapeva che sulla Sardegna l’arcivescovo di Pisa vantava già un diritto di legazia, che di lì a poco, nel 1138, sarà confermato. Infine, il ricco territorio di Populonia, comprendente anche l’isola d’Elba con le sue miniere di ferro, premeva molto ai pisani; e la concessa giurisdizione metropolitana su quel vescovado giovava a rafforzare le posizioni e ad accrescere l’influenza della città non soltanto in campo religioso».[xxxi] Forse proprio per questa sostanziale posizione di svantaggio creatasi nei riguardi di Genova con tale accordo, si crede utile inviare Bernardo a trattato firmato – e non prima, come suppone la storiografia tradizionale[xxxii] – in questa città, confidando sulla sua capacità persuasiva. Sempre per questa ragione, dopo il primo entusiasmo e le prime azioni belliche, Genova sembra ben presto preferire la posizione neutrale, della quale trova occasione di lamentarsi lo stesso Bernardo (ep. 129).
L’abate di Clairvaux venne inviato a Genova a fine marzo o primi di aprile con questa delicata missione «più conforme in verità alle sue attitudini, che non erano certo quelle del politico o del diplomatico, ma dell’oratore suasivo e affascinante».[xxxiii]
La sua predicazione raccoglie ampi consensi, determinando le condizioni favorevoli alla nascita della tradizionale voce che vedeva Bernardo vescovo di Genova.[xxxiv]
Una volta svolto brillantemente il suo incarico, l’abate si affretta a tornare presso Innocenzo II, in compagnia del quale raggiunge Lotario a Valentano, presso il lago di Bolsena, per poi entrare a Viterbo. In questa occasione, la proposta di Anacleto, già altre volte avanzata, di sottoporre al giudizio imperiale la duplice elezione del 1130, sembra trovare terreno fertile presso Lotario, desideroso di concludere al più presto la spedizione in Italia. Questa campagna lo stava trattenendo troppo a lungo lontano dalla propria patria, minacciata continuamente dalle mire sveve. Solo il pronto intervento di Innocenzo II, informato da Norberto, cancelliere dell’imperatore, porta al fallimento il disegno anacletiano, grazie alla tesi dell’impossibilità di porre a giudizio degli uomini ciò che era stato sancito divinamente (anche ep. 126 di Bernardo).
Entrato finalmente in Roma, ai primi di aprile, con l’aiuto degli oppositori di Anacleto, Innocenzo II prende possesso del Laterano. Ed è proprio nella basilica di San Giovanni in Laterano che il 4 giugno viene celebrata la solenne incoronazione dell’imperatore. Per Lotario tale cerimonia era importante nell’intento di rinsaldare la propria credibilità presso i sudditi tedeschi, dal momento che il suo rivale Corrado di Svevia era stato incoronato dall’arcivescovo milanese. La basilica di San Pietro, ove per tradizione avrebbe dovuto avere luogo, era saldamente nelle mani di Anacleto II, il quale aveva preferito la posizione difensiva, fiducioso della precarietà del successo innocenziano e dell’ostilità popolare verso gli occupanti. Le sue speranze si rivelano fondate allorché Lotario, preoccupato per la prolungata assenza dalla Germania, intraprende la via del ritorno tra giugno e luglio, mentre Innocenzo, rimasto solo a Roma a fronteggiare la situazione, è costretto in settembre, per la seconda volta, a rifugiarsi a Pisa.
Bernardo era ormai da tempo partito alla volta di Clairvaux, non prima però di aver partecipato all’ingresso di Innocenzo a Roma. Dal pontefice era stato investito di pieni poteri decisionali al riguardo della delicata questione sorta intorno alla successione alla sede metropolitana di Tours.
Alla morte dell’arcivescovo Ildeberto di Lavardin, una parte del Capitolo aveva eletto il diacono Filippo, monaco di Fontaines‑les‑Blanches, noncurante del fatto che questo fosse molto giovane e provvisto solamente degli ordini minori. Il neo‑eletto si era affrettato a raggiungere Roma per la ratifica della nomina. Con grave sgomento di Bernardo, Filippo si rivolse ad Anacleto II. Trovandosi al suo ritorno però di fronte ad una nuova elezione che aveva portato alla consacrazione di Ugo di La Ferté, egli era fuggito con le insegne pontificali e gli oggetti preziosi della cattedrale. Bernardo cassa l’elezione di Filippo, il quale, rifugiatosi presso Anacleto II, ottiene in cambio l’arcivescovado di Taranto, e lascia al giudizio personale del papa quella di Ugo.[xxxv]
Poco dopo, un grave fatto di sangue getta nell’inquietudine e nello stupore il clero francese riformatore. Il 20 agosto, Tommaso, priore di San Vittore di Parigi, che più volte aveva accusato l’arcidiacono Tibaldo Notier di gestire corrottamente la propria carica, viene ucciso dai sicari di questi, mentre era in compagnia del vescovo Stefano di Senlis. L’alto prelato si rifugia a Clairvaux presso Bernardo (epp. 156, 157, 158, 159), donde invia relazione scritta al pontefice. Per questo delitto, rimasto oscuro nei suoi particolari e sul quale pesava il sospetto dell’appoggio dello stesso re Luigi,[xxxvi] viene convocato a novembre il concilio di Jouarre. Per l’uccisione, di poco posteriore e di moventi analoghi, di Arcibaldo, vicedecano di Orleans, la condanna dei colpevoli viene invece demandata direttamente al papa.
Le lievi pene comminate agli assassini provocano le proteste di Pietro il Venerabile e di Bernardo, oltre che dei Certosini, le quali tuttavia non giungono ad alcun risultato se si eccettuano i rimproveri di Innocenzo II agli arcivescovi giudicanti.

1134
A Pisa, intanto, dietro le pressanti richieste di Roberto di Capua, scacciato dal proprio principato da Ruggero II che da tempo era sbarcato nuovamente sul continente con truppe fresche, si era raggiunto un accordo per una spedizione della flotta pisana e genovese contro il normanno, da effettuarsi in primavera. Ma le abili manovre di Ruggero riescono ad ostacolare definitivamente il progetto, come si può desumere dall’inutile lettera di avvertimento e di incitamento inviata da Bernardo ai genovesi (ep. 129) e da quella in toni analoghi ai pisani (ep. 130). Dimodoché Ruggero ha buon gioco nel sottomettere oltre alla Puglia, conquistata l’anno precedente, il principato di Capua, il ducato di Napoli e Benevento.
Alla fine dell’anno, Goffredo di Lèves, legato pontificio per l’Aquitania, richiede per la seconda volta l’intervento di Bernardo nella grave questione dello scisma nella regione. Il duca Guglielmo aveva finalmente acconsentito ad un abboccamento nel proprio castello di Parthenay. Durante la celebrazione della messa il duca, rimasto all’ingresso della chiesa a causa della scomunica che pesava sul suo capo, viene colto da crisi epilettica. Solo l’intervento miracoloso di Bernardo riesce a calmarlo (Vita prima, lib. II, c. VI, 37‑38, in P.L. 185, coll. 289‑290). L’episodio è divenuto uno dei nuclei principali della narrazione agiografica di Ernaldo e, proprio per questo motivo, non è possibile discernere i moventi politici alla base del mutamento di campo di Guglielmo. Tuttavia, lo scisma aquitanico può dirsi definitivamente rientrato. D’altronde non bisogna sottovalutare l’importanza del piano emotivo su cui molto spesso l’azione e la parola di Bernardo fa volutamente leva, producendo mutamenti di comportamento inspiegabili dal punto di vista razionale. Non è certo un caso se il duca Guglielmo troverà una pia morte il 9 aprile 1137, lungo la strada che lo portava in pellegrinaggio espiatorio a Santiago di Compostella. Al contrario, l’anziano vescovo di Angouléme, ancora fermo sulle sue posizioni, morirà il Ì marzo 1136: la sua morte è impietosamente descritta da Ernaldo (Vita prima, lib. I1, c. VI, 39, in P.L. 185, col. 290‑291).

1135
Tra febbraio e marzo del 1135 Bernardo si reca in Germania per intercedere presso Lotario in favore di Federico e Corrado di Hohenstaufen, sbaragliati dall’imperatore nella campagna dell’anno precedente. Una solenne cerimonia a Bamberga (17 marzo 1135) vede la riconciliazione, previo atto di sottomissione, di Federico con l’imperatore. Di lì a qualche mese, nella dieta di Mulhausen del 29 settembre, anche Corrado si sottometterà all’autorità di Lotario.
La presenza dell’abate, i cui legami con la curia innocenziana erano noti a tutti, voleva anche ricordare all’imperatore tedesco il suo impegno di soccorrere il papa con una nuova spedizione in Italia, tanto più che la sconfitta degli Hobenstaufen preludeva alla definitiva pacificazione del regno.
Conclusasi questa breve missione, Bernardo si reca direttamente in Italia, in vista del prossimo concilio di Pisa, giungendo nel mese di maggio in terra lombarda.
Torna utile, per una migliore comprensione del ruolo da lui giocato in tale occasione, riassumere brevemente le linee della questione della sede arcivescovile di Milano, sorta nel quadro dello scisma.
Dal 1126 la sede metropolitana di Milano era occupata da Anselmo V della Pusterla, il quale, già con papa Onorio II, aveva avuto motivi di dissidio, convinto com’era dell’opportunità di tener fede alle prerogative della Chiesa ambrosiana. Il pallio infatti, inviato tramite un legato papale, anziché consegnato personalmente al neo‑arcivescovo, costituiva il simbolo della sua autonomia da Roma.[xxxvii] La scelta di mantenere intatto questo privilegio, cui tutti i milanesi tenevano in quanto segno della loro passata e presente potenza, unita all’appoggio dato dalla città a Corrado Hohenstaufen, poneva Milano allo scoppio dello scisma quasi automaticamente dalla parte anacletiana. Ed infatti Anacleto, pochi mesi dopo la sua elezione, invia solennemente il pallio all’arcivescovo Anselmo.
Vittoriosi sulle innocenziane città di Pavia, Cremona, Novara, solo l’abile mossa di Innocenzo II di privare il territorio metropolitano di ben due vescovadi – Genova, diventa sede arcivescovile, e Bobbio – riesce a produrre nei milanesi le prime esitazioni‑ A poco a poco si fa strada l’opposizione ad Anselmo della Pusterla, il quale alla fine è costretto a sottostare a un giudizio pubblico, culminante con la sua espulsione dalla città. L’allontanamento, collocabile tra il marzo e l’aprile del 1135, fu determinato anche dall’intervento alla riunione pubblica di un gruppo di monaci capis albis et grisiis. Probabilmente erano della comunità cistercense dipendente da Morimond, stanziatasi presso Milano fin dal 1134 e, definiti heretici dall’arcivescovo, essi apparivano invece al popolo «quasi si forent angeli de celis».[xxxviii]
Al concilio di Pisa (30 maggio – 6 giugno), le cui deliberazioni vertono soprattutto sull’evolversi dello scisma nella penisola italiana con una nuova scomunica del clero anacletiano, Anselmo della Pusterla viene dichiarato deposto dalla sua carica. Per meglio sottolineare l’avvenuto cambiamento di rotta della città ed affrontare il pur sempre forte partito anselmiano, viene deciso l’invio di un’autorevole delegazione composta dai cardinali Matteo d’Albano e Guido di Pisa, da Bernardo e dal vescovo Goffredo di Chartres.[xxxix]
Il soggiorno di Bernardo e dei suoi compagni a Milano nel mese di luglio è descritto in toni trionfalistici da Ernaldo di Bonneval (Vita prima, lib. II, c. II, 9‑12 e c. III, 13‑20, in P.L. 185, coll. 273‑280). 1 milanesi e la gente del contado sono attratti in massa dai suoi molteplici miracoli e docilmente giurano fedeltà a Innocenzo II e Lotario. La sede ambrosíana vacante viene offerta all’abate di Clairvaux che però si schermisce. Al suo rifiuto viene scelto il vescovo Robaldo d’Alba.
All’apogeo della popolarità, Bernardo si reca a Pavia, Cremona e Piacenza, portando con sé le speranze dei milanesi di riavere i prigionieri di queste città innocenziane contro le quali avevano fino allora combattuto. Tuttavia, come giustamente osserva il Palumbo, «quando Bernardo volle passare dal campo religioso a quello politico contingente e far abbandonare a Milano e alle altre città lombarde – Pavia, Cremona, Piacenza – la loro reciproca ostilità, allora il suo sforzo, pur a lungo durato, si rivelò inutile».[xl] Deluso nelle sue aspettative, è già in viaggio alla volta di Clairvaux, quando viene costretto da una lettera di Innocenzo II a tornare una seconda volta a Milano. Il papa era preoccupato dell’esitazione del nuovo arcivescovo Robaldo a recarsi a Roma per la postulazione del pallio.[xli] Il compito di Bernardo consisteva ora nel convincere i milanesi a rinunciare al privilegio della Chiesa ambrosiana, facendo sì che il concetto della supremazia della Chiesa romana venisse in tal modo ribadito.
Questa seconda permanenza dell’abate a Milano, nel mese di ottobre, si svolge in un clima freddo, come ci indica implicitamente il suo biografo, prodigo di dettagli per il primo contatto con la cittadinanza e invece parco di parole e di miracoli per questo secondo (Vita prima, lib. II, c. IV, 24, in P.L. 185, coll. 281‑282). Su Bernardo e sulla sua popolarità pesa ormai l’insuccesso sulla questione dei prigionieri delle altre città. Solo nel 1136 i milanesi cederanno alle richieste di Innocenzo II, lasciando libero Robaldo di andare a ricevere dalle mani del papa il pallio.
Nel mese di novembre, vista l’inutilità dei propri sforzi nei confronti delle città lombarde, Bernardo fa ritorno alla sua abbazia.
Con il rientro dello scisma aquitanico e milanese, solo Roma e l’Italia meridionale, controllata da Ruggero, restano dalla parte di Anacleto. Ormai tutte le alleanze si stringono attorno a Lotario e Innocenzo II.
Promesse d’intervento vengono profferite anche da Pisa, Genova, nonché dall’imperatore bizantino.

1136
Nel settembre 1136, l’imperatore tedesco, ben altrimenti equipaggiato rispetto alla spedizione del 1132, ripassa le Alpi attraverso il valico del Brennero, toccando Verona, Milano, Parma e sconfiggendo Cremona, Pavia, Vercelli, Torino, Piacenza e Bologna. Al termine di questa prima offensiva, Lotario decide di divedere il proprio esercito in due tronconi: uno al comando del genero Enrico di Baviera col compito di reprimere le ribellioni in Toscana e il conflitto scoppiato tra Pisa e Lucca; l’altro più consistente e ai suoi ordini da dirigere lungo il versante adriatico verso la Puglia.
A Lucca, assediata dal duca di Baviera, compare nuovamente Bernardo, partito in febbraio da Clairvaux assieme al fratello Gerardo. È il terzo viaggio in Italia. Grazie alla sua mediazione, la città toscana scampa alla distruzione totale al termine dell’assedio, dietro pagamento di un tributo in argento. Le truppe imperiali possono continuare i loro spostamenti senza essere ulteriormente trattenute.
Nello stesso mese di marzo, Innocenzo II lascia Pisa per congiungersi con Enrico di Baviera, assieme al quale partecipa alla resa di Grosseto prima e di Viterbo poi. La città è luogo di un primo contrasto tra Enrico e il pontefice. Il primo reclama il tributo di guerra per le proprie truppe, il secondo lo esige in nome della sovranità sulla regione. Bernardo intanto teme sulla sorte di Gerardo, caduto gravemente ammalato, ma poi ristabilitosi in seguito alle preghiere dell’abate (Sermo 26 in Cantica, n. 14, in Opera, I (1957), pp. 180‑191).
Nell’aprile del 1136, mentre Lotario prosegue la sua marcia alla volta di Bari, il piccolo contingente imperiale agli ordini del duca bavarese si dirige verso Roma, avendo il compito di insediare Innocenzo nella città, senza ingaggiare però uno scontro diretto con le forze preponderanti di Anacleto II. Roma e il suo contado vengono dunque aggirati col proposito di ricogiungersi al più presto con il grosso dell’armata imperiale ormai vicina alla sua meta. Una sconfitta di Ruggero in Italia meridionale avrebbe reso una volta per tutte completo l’isolamento religioso e politico del papa di Roma.
A maggio le truppe di Enrico di Baviera si accampano nelle terre dell’abbazia di Montecassino. Il sostanziale appoggio cassinese al partito anadetiano e normanno era stato messo in forse dalla notizia dell’approssimarsi dei soldati imperiali. Una dura lotta intestina, all’interno della comunità monastica, si era conclusa infine col prevalere dell’antica linea anti‑innocenziana e la conseguente elezione dell’abate Rainaldo. Con la resa del settembre del 1137, la ratifica dell’elezione di Rainaldo verrà respinta e, dopo un discorso di Bernardo al Capitolo, si procederà alla nomina del fedele Vibald, abate di Stavelot e favorito di Lotario.[xlii]
Il piccolo esercito prosegue quindi verso sud, entrando trionfalmente a Capua, dove viene reinsediato il principe Roberto, e, il 23 maggio, a Benevento. Il 30 dello stesso mese, il contingente bavarese si riunisce a Bari con l’armata di Lotario, dopo che questa ebbe compiuto vittoriosamente l’itinerario adriatico.
Ruggero si trova ben presto a malpartito, stretto tra le vittorie dei suoi avversari sulle città a lui fedeli e le rivolte nate da antichi contrasti mai placati. La conquista di Salerno, di poco posteriore, segna il momento del massimo pericolo per il re normanno, e, nello stesso tempo, comporta il ritiro dal conflitto della flotta dei pisani, delusi della promessa fatta a loro insaputa da Lotario di evitare il saccheggio della ricca città nel caso di una pronta resa.
Desideroso di intraprendere al più presto il viaggio di ritorno, l’imperatore investe Rainulfo d’Alife della sovranità sui territori occupati, avviandosi quindi verso il nord. A Farfa, il 5 ottobre, ha luogo l’ultimo colloquio tra il papa e Lotario. Di comune accordo essi decidono di inviare Bernardo in Puglia per una missione di cui però l’abate non fa cenno nella sua lettera (ep. 144). Poi, mentre Innocenzo II conclude i preparativi per l’entrata a Roma, Lotario prosegue il cammino verso la Germania, reso aspro dall’ostilità delle popolazioni. Ammalatosi, muore il 3 dicembre a Breitenwang. Il 1° agosto dello stesso anno era aspirato il re francese Luigi VI, altro grande esponente della lotta contro lo scisma, che tanta parte aveva avuto nella prima fase dell’affermazione innocenziana.
Lo scopo dell’invio di Bernardo tra le popolazioni del meridione si comprende con la necessità di opporre al pericolo normanno, oltre che un valido uomo d’armi qual era Rainolfo d’Alife, una personalità religiosa di grande prestigio, capace di far leva emotiva sulla gente. Infatti, consapevole dell’instabilità delle conquiste imperiali, una volta abbandonate dall’esercito tedesco, Ruggero si affretta a sbarcare nuovamente in Calabria, recuperando una ad una le città e ì territori che aveva perduto. Solo la Puglia, saldamente tenuta da Rainolfo, oppone resistenza.
Nell’imminenza di uno scontro forse decisivo tra gli eserciti avversari, Bernardo compie un ultimo tentativo di convincere Ruggero a deporre le armi, recandosi nel suo accampamento e preannunciandogli una dura sconfitta. Così narra Ernaldo di Bonneval, che tuttavia commette un errore storico, forse imputabile al suo intento celebrativo, quando scrive che era stato Ruggero in persona a voler chiamare presso di sé il santo abate (Vita prima, lib. II, c. VII, 43, in P.L. 185, coll. 293‑294).
La battaglia ha luogo il 30 ottobre a Rignano e si conclude con la ritirata del re di Sicilia a Salerno. Bernardo lo segue e ottiene da lui la convocazione, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, di un contraddittorio tra i rappresentanti di Anacleto (il cardinale cancelliere Matteo, il cardinale Pietro di Pisa e un certo cardinale Gregorio) e quelli di Innocenzo (il cancelliere Aimerico, il cardinale Gregorio di Santa Croce, Guido di Castello e lo stesso Bernardo). Se il ravvedimento di Pietro di Pisa al discorso infuocato di Bernardo, che prese la parola alla conclusione di questo incontro durato otto giorni, comporta un grande successo per lo schieramento innocenziano, non altrettanto si può dire per le posizioni di Ruggero, cui questo confronto verbale era servito per saggiare le intenzioni delle due parti. In particolare, per capire fino a qual punto Innocenzo II era disposto a trattare, in cambio del riconoscimento normanno della propria autorità.
Bernardo fa ritorno presso il papa in compagnia di Pietro di Pisa, che si vede riconfermata la porpora cardinalizia in virtù del suo ravvedimento (Vita prima, lib. II, c. VII, 45‑46, in P.L. 185, coll. 294‑295). Due delegati delle opposte fazioni, dietro richiesta di Ruggero, desideroso di consultarsi con i consiglieri siciliani, lo seguono a Palermo per una seconda assemblea. Inutile dire che anche per questa nuova riunione si trattava di un astuto espediente diplomatico, conclusosi con la riaffermazione della fedeltà normanna ad Anacleto, dopo aver avvertito probabilmente l’intransigenza e l’indisponibilità della parte innocenziana a trattare.
Intanto Innocenzo II era entrato in Roma, dove però le forze dell’avversario mantenevano ancor saldi in pugno San Pietro, il Laterano e molti fortilizi. La resistenza si preannunciava lunga.

1138
Un insperato colpo di fortuna favorisce Innocenzo: il 25 gennaio 1138 una morte improvvisa coglie Anacleto.
La notizia è accolta con impietosa gioia da Bernardo (ep. 147), cui fa eco il suo biografo (Vita prima, lib. II, c. VII, 47, in P.L. 185, coll. 295‑296). I suoi richiami all’Antico Testamento contribuiscono efficacemente a dare l’idea dell’inesorabilità del giudizio divino: «Advenerat tempus, in quo completa Ammorrhaei malitia, angelus percutiens gladium jam vibrabat, et pertransiens domos, quarum superliminaria sanguis Agni imbuerat. ad domum Petri Leonis veniens, salutare in ea non reperit signum. Percussit igitur miserum, nec tamen illico defungitur: sed datur per triduum poenitentiae locus. Ille patientia Dei abutitur, et in peccato suo moritur desperatus».[xliii]
È un colpo duro per gli oppositori di Innocenzo II, ma non basta a fiaccare la loro ostinazione. Attorno alla metà di marzo, ottenuto il consenso di Ruggero per una nuova elezione, scelgono, quale successore di Anacleto, il cardinale prete dei SS. Apostoli, Gregorio, col nome di Vittore IV. Questa nuova nomina pontificia ubbidiva ad una serie di considerazioni di carattere politico, incentrate sul desiderio di trattare con Innocenzo II non in posizione di completo svantaggio. Un artificioso prolungamento dello scisma che non porterà agli effetti sperati. Vittore IV, infatti, si trova ben presto privo di sostenitori, o perché convinti dal denaro elargito da Innocenzo, o perché intimoriti dalle possibili conseguenze della loro inutile ostinazione. Resosi conto della situazione sempre più precaria, prende dunque la decisione di riconciliarsi con Innocenzo II, riuscendo così a conservare la propria dignità cardinalizia. Il 29 maggio, dopo un colloquio notturno con Bernardo, Vittore IV fa atto di penitenza davanti al pontefice vittorioso (ep. 317).
Il compito dell’abate di Clairvaux in Italia si è concluso, ed egli si affretta a tornare al proprio monastero. Il suo contributo alla soluzione dello scisma è ricompensato dal papa con la donazione all’Ordine cistercense del monastero delle Tre Fontane “Ad Aquas Salvias” presso Roma.

Langres
Lungo la via del ritorno, Bernardo è raggiunto dalle notizie sull’elezione episcopale di Langres che lo rendono inquieto. Nell’agosto del 1137, o più probabilmente del 1136, era morto il vescovo di Langres, Villain d’Aigremont, nella cui diocesi era situata l’abbazia di Clairvaux. Il Capitolo e l’arcivescovo di Lione avevano deciso di rivolgersi a Bernardo, allora a Roma, per la scelta del successore in accordo con il papa.
È dunque con comprensibile sorpresa che l’abate, nel viaggio di ritorno, apprende la notizia dell’avvenuta elezione del cluniacense Guglielmo di Sabran, candidato di Pietro il Venerabile e del duca di Borgogna. Bernardo si reca immediatamente dall’arcivescovo di Lione ottenendone un ravvedimento solo temporaneo; le pressioni di Pietro il Venerabile inducono infatti Luigi VII a concedere l’investitura dei regalia a Guglielmo di Sabran, che viene quindi consacrato dai diocesani di Lione, Autun e Mâcon.
Le rinnovate proteste dell’abate di Clairvaux, che non esita ad appellarsi a Roma, conducono all’annullamento dell’elezione. La sede di Langres è allora offerta allo stesso Bernardo: egli vi rinuncia a favore di Goffredo de la Roche, priore di Claírvaux. Il re, dopo qualche esitazione, dato che si trattava di assecondare i Cistercensi a scapito di più potenti alleati – Cluny, il duca di Borgogna, l’arcivescovo di Lione –, gli concede i regalia. Il 28 ottobre 1138 ha luogo così la solenne consacrazione del nuovo vescovo di Langres (epp. 164‑170).
In questo caso, l’atteggiamento preso da Bernardo risulta dettato dalla preoccupazione di vedere, a capo della diocesi in cui sì trovava la propria abbazia, un esponente di un Ordine monastico con il quale i momenti di pacifica convivenza spesso si alternavano a polemiche ed antagonismi.[xliv]
Diversamente, per la vicenda di poco anteriore dell’arcivescovado di Reims ci si può appellare solo al suo costante interessamento verso ogni problema della Chiesa.

Reims
Il caso di Reims avrebbe potuto costituire un pericoloso precedente da combattere, secondo il punto di vista bernardino, in maniera decisa.
Gli abitanti di questa città, approfittando della morte dell’arcivescovo Raynauld (13 gennaio 1138), costituiscono un corpo municipale con l’appoggio di Luigi VII, interessato alle entrate dell’arcivescovado che, durante la vacanza della sede, aveva diritto di percepire. Bernardo chiede la immediata convocazione del Capitolo per la scelta del successore di Raynauld (ep. 318) e papa Innocenzo II ingiunge al re di sciogliere le associazioni comunali. La situazione viene normalizzata con l’elezione del nuovo arcivescovo nella persona di Samson di Mauvoisin, arcidiacono di Chartres, dopo il rifiuto opposto da Bernardo alla carica che gli era subito stata offerta (ep. 449). Le aspirazioni municipalistiche non vengono però ancora meno. Si protrarranno finché Luigi VII, che, malgrado le pressioni pontificie, si era limitato ad ammonire la cittadinanza a non cadere in eccessi, non si vedrà costretto ad abolire il comune nel 1140.

Controversie dottrinali (1139‑1145)

1139
Il 4 aprile 1139 si aprono i lavori del II concilio Lateranense cui partecipano circa ottocento vescovi ed abati, tra i quali anche Bernardo. Si tratta della più importante assemblea tenutasi dalla fine dello scisma, con l’intento di riorganizzare i ranghi ecclesiastici sconvolti da nove anni di lotte faziose. Apertosi in un clima di fiducia grazie al ricordo dell’atteggiamento clemente di Innocenzo II durante le fasi cruciali dello scisma, diviene però subito chiaro che il pontefice non intende affatto chiudere la vicenda con un colpo di spugna e procede, al contrario, ad approntare una serie di provvedimenti punitivi nei riguardi degli ecclesiastici di passato anacletiano. Lo stesso Pietro di Pisa che, con il suo pentimento del 1136, aveva tanto giovato alla causa innocenziana, meritandosi la conservazione della porpora, viene ora a perdere le sue prerogative cardinalizie, malgrado lo sdegnato intercedere di Bernardo presso il papa (ep. 213). Il concilio si conclude con la nuova scomunica a Ruggero II.
Ciò non impedisce al re normanno di approfittare della morte di Rainolfo d’Alife, avvenuta il 30 aprile 1139, per operare, il 25 maggio successivo, lo sbarco delle proprie truppe a Salerno. Innocenzo II replica immediatamente raccogliendo un esercito agli ordini di Roberto di Capua, Riccardo di Rupecanina e Teobaldo, prefetto di Roma. Lo scontro decisivo ha luogo a San Germano il 22 luglio, in seguito al quale, Innocenzo II viene fatto prigioniero. Tre giorni dopo, con lo storico trattato di Mignano, Ruggero ottiene l’annullamento della scomunica, il riconoscimento pontificio del regno di Sicilia, nonché la investitura del ducato di Puglia e del principato di Capua per i suoi due figli, in cambio di 600 scifati d’oro. Inoltre conclude il fidanzamento tra il figlio Ruggero II, nuovo duca di Apulia, ed Elisabetta, figlia del conte di Champagne. Verrà accompagnata nel suo viaggio in Sicilia da alcuni monaci claravallensi, richiesti da Ruggero a Bernardo per una eventuale, ma non precisata, fondazione cistercense nel suo regno.
È in questo stesso periodo che Bernardo viene per la prima volta a contatto con un altro preoccupante problema. Durante il periodo di quaresima, l’amico Guglielmo di Saint‑Thierry ne richiama l’attenzione con una lettera riguardante alcune proposizioni errate dell’insegnamento teologico di Pietro Abelardo, cui allega la disputatio, cioè la confutazíone delle affermazioni del filosofo.
Il problema circa i prodromi della vicenda è molto dibattuto tra gli storici. Basti accennare al dubbio se si sia trattato effettivamente di una iniziativa di Guglielmo, o se questa fosse piuttosto stata provocata dall’abate di Clairvaux, per permettersi di intervenire poi come “chiamato in causa”.
Qualunque sia lo status quaestionis, la prima mossa di Bernardo è di scrivere il Tractatus contra capitula errorum Petri Abaelardi, indirizzandolo a Innocenzo II con un più breve scritto per i prelati di curia.[xlv]

1140‑Sens
Vista l’inutilità delle ammonizioni dirette di far ravvedere il filosofo, Bernardo procede senz’altro a denunciarlo alle autorità ecclesiastiche, rivolgendosi non tanto al competente vescovo di Parigi, Stefano di Senlis, che avrebbe potuto trovarsi imbarazzato dall’ascendente di Abelardo sugli studenti e sui maestri della città, quanto al suo devoto amico Enrico, arcivescovo di Sens.
Lo scopo è quello di giungere ad una condanna delle tesi di Abelardo con il coinvolgimento dei soli vescovi. La convocazione giunta a Clairvaux per il 2 giugno 1140, data dell’apertura del concilio di Sens, in seguito alla sfida lanciata da Abelardo ad un pubblico dibattito presieduto dall’arcivescovo di Sens, coglie perciò Bernardo di sorpresa. Egli è consapevole della forza dialettica del suo avversario e rimane a lungo indeciso ad accettare la sfida (ep. 187).
Resosi conto che un suo rifiuto avrebbe potuto favorire l’avversario, accoglie l’invito e il 2 giugno si presenta a Sens. Ivi, senza indugio, provoca una riunione preliminare dei vescovi presenti al concilio, facendo condannare ancor prima del dibattito, previsto per il giorno seguente, e senza la partecipazione di Abelardo, una serie di affermazioni del filosofo. L’indomani, a questa prima presa di posizione dei vescovi che poneva Abelardo di fronte ad un’accusa e a una condanna più che a un pubblico dibattito, il ‘maestro palatino ‘ risponde con l’appello al papa, suprema autorità nel campo della teologia.[xlvi]
A quel punto l’assemblea avrebbe perso di significato se l’abate di Clairvaux non avesse superato l’impasse, derivato dall’appello al pontefice, con un cavillo che gli permetteva egualmente di mettere a tacere l’avversario: ogni giudizio sulla persona veniva demandato a Innocenzo II, mentre quello sulle dottrine era lasciato al concilio dei vescovi. Si procede così alla condanna di quattordici proposizioni tratte dalla Theologia christiana, dall’Introductio ad theologiam di Abelardo, e dal Liber sententiarum, e all’invio dei resoconti del processo a Roma.
Anche Bernardo si affretta a spedire varie lettere al pontefice e alla curia, nel timore che Abelardo, già in viaggio verso Roma, possa trovarvi dei sostenitori. Ma il vecchio filosofo è ancora in terra francese quando è raggiunto dalla notizia che Innocenzo II, anticipando i tempi, lo aveva condannato al silenzio perpetuo e al rogo dei suoi libri. Non gli rimane altro che chiedere rifugio presso il caritatevole abate Pietro dì Cluny, sotto la cui protezione morirà il 21 aprile 1142. Una delle poche voci levatesi in sua difesa sarà quella del suo discepolo Pietro Berengario di Poitiers, autore del libello Berengarii schotastici apologeticum (in P.L. 178, coll. 1857‑1870), spesso aspro nei riguardi dell’abate di Clairvaux.
Sono sempre più numerosi gli storici che, pur mettendo in dubbio la legittimità dell’operato di Bernardo, sono giunti a riconoscervi, in prospettiva, un merito del santo. La condanna di Pietro Abelardo e, più tardi, quella di Gilberto de la Porrée, hanno infatti messo in guardia contro gli abusi della nascente dialettica, contribuendo, nello stesso tempo, ad una migliore formulazione del pensiero del “maestro palatino” che poté così sopravvivere nel tempo, malgrado la distruzione delle sue opere.
Inoltre, proprio in questa occasione, si giustifica pienamente l’uso del termine ‘ultimo dei padri ‘ per Bernardo. La sua strenua difesa dei dogmi cristiani fin allora indiscussi ed indiscutibili, lo rivela, di fronte alle nuove correnti speculative della scolastica, un esponente – sia pure di grandissima autorità – di un periodo che stava per chiudersi.[xlvii]

York

Sempre nello stesso anno, il 6 febbraio 1140, la morte dell’arcivescovo di York, Thurstan e il problema della sua successione diveniva il centro di una lunga serie di lotte all’interno della gerarchia ecclesiastica inglese, coinvolgenti la stessa casa regnante. A questa vicenda, destinata a protrarsi per quattordici anni, non mancò di interessarsi Bernardo, come ampiamente dimostra il suo epistolario (epp. 346, 347, 353, 360, 235, 236, 238‑240, 252, 320, 321). Infatti, all’elezione di William Fitzherbert, nipote di re Stefano, voluta solamente da una parte del capitolo della cattedrale, fece seguito nel 1147 la sua deposizione con l’accusa di simonia e la conseguente sostituzione con Henri Murdac, già monaco di Clairvaux. Fin qui l’azione determinante di Bernardo. Nel 1154, deceduti sia Henri Murdac, sia Eugenio III che lo aveva consacrato, sia Bernardo che lo aveva sostenuto, nulla impedirà più a William Fitzherbert di divenire per la seconda volta arcivescovo di York sotto il pontificato di Anastasio IV, dimostrando così l’infondatezza delle accuse mossegli un tempo.
Anche in questa occasione, dunque, l’abate di Clairvaux aveva fatto sentire tutto il peso della propria influenza, riuscendo ancora una volta a determinare il corso di una questione estranea al suo ambiente monastíco. Definitive a questo proposito le parole del Baker: «… senza l’intervento di san Bernardo, Fitzherbert sarebbe probabilmente sopravvissuto sia all’opposizione condotta contro di lui, sia all’inchiesta papale, e sarebbe quindi riuscito ad affermarsi come arcivescovo».[xlviii]

1141
Nel 1141, dopo un breve contrasto tra re Luigi VII e il clero francese circa la consacrazione a vescovo di Poitiers dell’abate di Alleux Grimoard, avvenuta senza la previa investitura regale, per il quale Bernardo fa pressioni sul consigliere del re, Jocelin, vescovo di Soissons (ep. 342), si verifica un nuovo e ben più grave attrito.
Le prime mosse si susseguono velocemente. Divenuta vacante la sede arcivescovile di Bourges, il Capitolo elegge Pierre de la Cbatre, parente del cancelliere Aimerico, respingendo il favorito di Luigi VII. Innocenzo II convoca a Roma il neo‑eletto per consacrarlo personalmente e nel contempo dichiara indegno di ogni beneficio ecclesiastico il candidato del re, Luigi VII risponde impedendo al nuovo arcivescovo l’entrata in Bourges, provocando così la reazione del pontefice che lancia Pinterdetto su tutte le città che accolgono la corte regale.
Il già serio dissidio con la Chiesa è aggravato dalla ribellione del conte di Champagne, Teobaldo, colpevole di ospitare nelle sue terre lo sfortunato arcivescovo di Bourges e di opporsi all’annullamento del matrimonio della nipote con il conte Raoul di Vermandois. Solo in questo modo, quest’ultimo avrebbe potuto sposare, con l’appoggio del re, la sorella di Eleonora di Aquitania, Petronilla (o Adelaide) di Guyenne.

1142
Il concilio di Lagny del 20 giugno 1142 proclama la validità del matrimonio, provocando l’inizio delle ostilità tra Luigi VII e il conte di Champagne. I tentativi di conciliazione portati avanti da Bernardo, legato da vincoli di amicizia e di riconoscenza al suo protettore Teobaldo (epp. 218, 219), rimangono sterili.
Questo grande feudatario cerca di stringere attorno a sé un cerchio di alleanze tramite i fidanzamenti dei propri figli con membri delle casate di Fiandra e di Soissons, manovra che non manca di impensierire il re francese.

1143
Nel frattempo, il 24 settembre 1143, muore papa Innocenzo II, uno dei protagonisti, sia pure da lontano, della vicenda. Due giorni dopo, diviene pontefice Guido da Castello col nome di Celestino II, ex discepolo di Pietro Abelardo e antico protettore di Arnaldo da Brescia, durante la legazia in Boemia.

1144
È la diplomazia e la moderazione di questo papa, ma ancor più quelle di Lucio Il che gli succede il 12 marzo 1144, che consentono di sbloccare la situazione dopo il fallimento dell’incontro di Corbeil tra Luigi VII, Bernardo, Suger di Saint‑Denis e il vescovo di Auxerre.
Il nuovo pontefice toglie subito l’interdetto che gravava su Luigi VII, il quale, in cambio, concede libertà di elezione per le Chiese di Chalons e Parigi i cui vescovi erano deceduti. Poco dopo, a Saint‑Denis, un nuovo incontro porta all’accordo. Il re, mosso dal timore di perdere l’appoggio del clero francese e dei grandi feudatari del regno, ritira le truppe dalla Champagne, accorda l’investitura dei regalia all’arcivescovo di Bourges, e si impegna per un pellegrinaggio espiatorio in Terrasanta. In cambio, il conte di Champagne rinuncia ai due fidanzamenti progettati e alla contestazione dell’unione di Raoul di Vermandois con la sorella della regina.[xlix]
Ritornato a Clairvaux, in lutto per la morte dei fratelli Andrea e Bartolomeo, Bernardo è raggiunto da una lettera del prevosto di Steinfeld, Evervin (Evervini epist., in P.L. 182, col. 676) che lo ragguaglia su una setta eretica di tipo cataro ed evangelico, diffusa lungo il Reno e nelle Chiese del nord.[l] Poco dopo, il clero di Liegi denuncia al pontefice Lucio II l’espandersi preoccupante nella regione di un’eresia vicina al manicheismo.
Ma a Roma la situazione politica è tale da distogliere, per il momento, l’attenzione della Chiesa da queste correnti eterodosse. Infatti, già negli ultimi giorni di pontificato di Innocenzo II, il popolo romano aveva reinsediato in Campidoglio il senato, mettendo in dubbio – una volta di più – la saldezza del potere temporale del papato.

1145
Dopo una vana richiesta di aiuto a Corrado III, imperatore di Germania, tramite anche lettere di Bernardo (ep. 244), il 15 febbraio 1145, Lucio II decide di dare l’assalto al Campidoglio, sede del senato, ma colpito da una sassata muore. Lo stesso giorno viene eletto, come suo successore, l’abate cistercense delle Tre Fontane, Bernardo Paganelli, col nome di Eugenio III.[li] Egli risponde con la minaccia di interdetto alle pretese del senato di approvare o respingere l’elezione pontificia. A questo punto, i rivoltosi gli impediscono l’accesso alla basilica di San Pietro per la consacrazione, se non a patto di rinunciare alla potestà civile, costringendolo a riparare a Farfa, dove ha luogo la solenne cerimonia.
La situazione estremamente difficile che ha ereditato dai predecessori di cui Bernardo mostra di essere pienamente consapevole nella sua lettera al popolo romano (ep. 243)[lii] – e risoltasi per il momento in un suo esilio, non gli impedisce di occuparsi del focolaio di malcontenti e disordini costituito dal diffondersi del neo‑manicheismo nelle zone meridionali della Francia. Le idee sostenute da Pietro di Bruys, condannato al rogo a Saint‑Gilles tra il 1132 e il 1133, sono riprese e propagandate dal monaco Enrico,[liii] fondendo imperativi morali con dottrine eretiche: da un lato, aderenza ai dettami evangelici, ideale di una Chiesa libera da ogni preoccupazione terrena, rifiuto della sua gerarchia, dall’altro, negazione del battesimo degli infanti ed errate convinzioni sul matrimonio.
Per porre fine ad una predicazione così pericolosa per i ranghi ecclesiastici. Eugenio III incarica il cardinale, vescovo di Ostia, Alberico, di intervenire con ogni autorità.
Eresia
A questo scopo, probabilmente confidando nella sua popolarità, il legato pontificio invita l’abate di Clairvaux ad unirsi a lui. Accettata prontamente la richiesta, Bernardo inizia la sua peregrinazione nelle zone eretiche infiammando con la sua parola i fedeli di Bordeaux, Bergerac, Périgueux, Sarlat, – dove ha luogo una miracolosa conversione in massa della popolazione, grazie ai pani benedetti dal santo (Vita prima, lib. III, c. VI, 18, in P.L. 185, coll. 313‑314). Dopo una sosta a Cabors, giunge a Tolosa, luogo fino a poco tempo prima delle prediche di Enrico, protetto dal conte Ildefonso di Saint‑Gilles. Anche qui la parola di Bernardo ottiene il generale ravvedimento della cittadinanza, mentre gli eretici sono costretti alla fuga. Il 28 giugno giunge ad Albi. Le fonti stesse hanno cura di sottolineare il successo strepitoso di Bernardo in confronto al fallimento della predicazione del legato Alberico. Dopo una nuova tappa ad Auxerre, l’abate fa ritorno a Clairvaux, dove è raggiunto dalla notizia dell’arresto di Enrico.
L’intervento di Bernardo nella campagna contro l’eresia enriciana si rivelò dunque determinante per il buon esito di essa. Tuttavia lo stesso Goffredo di Clairvaux ebbe modo di avanzare qualche perplessità sulla reale portata della missione nella sua Epistola ad dominum Archenfredum. Egli scrive: “«Terra tam multiplicibus errorum doctrinis seducta, opus haberet longa praedicatione; sed dominus abbas nec tanto labori sufficere videtur, et multo magis timet molestus esse fratribus suis…».[liv]
E difatti la mancata consapevolezza della «capacità suggestiva delle nuove dottrine»,[lv] specie sulle masse popolari, riscontrabile nella gerarchia ecclesiastica come in Bernardo (ep. 242), impedì a lungo un’adeguata azione su larga scala, intrapresa poi da san Domenico e il suo Ordine. Rimane da rilevare la convinzione bernardina di potere fare uso dell’arma della persuasione nei confronti degli eretici, ammettendo il ricorso alla forza solamente nei casi più ostinati (Sermo 64 in Cantica, n. 8 e Sermo 66 in Cantica, nn. 1, 2, 12, 14, in Opera, 11 (1958), pp. 170, 178‑179, 186‑187, 188).
Nel frattempo il contrasto tra senato romano e Eugenio III è giunto ad una svolta. Il papa, la cui posizione si è rafforzata grazie ad una politica di alleanze con i conti della Campania, costringe i senatori ad un accordo basato sulla restaurazione del potere temporale del papato, sul ripristino della prefettura – carica controllata dal pontefice – e sul mantenimento del senato, a condizione che i cinquanta membri eletti annualmente dal popolo risultino a lui graditi.
Con questa intesa, Eugenio III può finalmente entrare con solenni cerimonie in Roma. Ma nel gennaio 1146 altri disordini lo costringeranno di nuovo a fuggire.
Nel novembre del 1145, il papa è informato dal vescovo di Gilbeck della richiesta fatta dal principe Raimondo di Antiochía a Luigi VII e a Corrado III di inviare soccorsi ai regni cristiani di Terrasanta, gravemente minacciati dopo la caduta di Edessa nel 1144. Eugenio III accoglie subito l’appello, emanando il l° dicembre 1145 una bolla che invita il re francese alla crociata.
Probabilmente non gli è ancora pervenuta, quando Luigi VII annuncia una sua iniziativa militare a Bourges (25 dicembre). Il suo prudente consigliere, l’abate Suger di Saínt‑Denís, che disapprova il gesto, gli consiglia però di rimandare la decisione ad un’assemblea plenaria da tenersi a Vezelay per Pasqua.
Crociata e nuove controversie (1146‑1149)

1146
Il l° marzo 1146, papa Eugenio III emana una nuova bolla con la quale indice solennemente la seconda crociata, enumerando tutti i vantaggi spirituali e materiali a favore di coloro che avrebbero partecipato alla difesa del santo sepolcro[lvi] ed incaricando Bernardo della sua predicazione in Francia, Baviera, Germania e Fiandre.
Superata una certa riluttanza nell’assumerà questo gravoso compito,[lvii] anche l’abate di Clairvaux si porta a Vezelay per la grande riunione del 31 marzo. Dopo la lettura della bolla pontificia, il discorso e i miracoli compiuti da Bernardo, a prova della benevolenza divina sull’impresa, inducono il re e numerosi feudatari a prendere la croce. Anche due vescovi, Arnoul di Lisieux e Goffredo de la Roche di Langres, cugino di Bernardo, si fanno crociati. L’entusiasmo è tale da proporre l’abate quale capo della spedizione militare. La proposta è subito respinta dall’interessato.
Constatando l’impossibilità di portare la propria voce in ogni contrada, prima di iniziare il giro di predicazione, Bernardo appronta per i suoi segretari il modello della lettera da inviare a tutte le regioni europee, variabile in qualche punto a seconda dei destinatari.[lviii]
Al suo sforzo, che lo vede presente in varie città francesi fino all’autunno del 1146, si unisce quello di altri abati cistercensi, come Rainald di Morimond, che incitavano i feudatari locali ad unirsi all’impresa. Ben presto però si fanno sentire le difficoltà di organizzare una simile spedizione su scala nazionale, previste probabilmente da Suger che a lungo vi si era opposto. Per drenare la maggior quantità di risorse, Luigi VII è costretto ad aggravare le tasse sui sudditi, clero e monasteri compresi. Non tardano le proteste, tra le quali spicca quella di Pietro il Venerabile (ep. 36, lib. IV), indignato dal fatto che gli ebrei, al pari dei servi, fossero esentati da ogni tributo. Il malcontento popolare si concentra su di essi, sfociando in una vera ondata antisemita, allorché si diffuse la notizia di una presunta uccisione sacrificale di un bimbo cristiano perpetrata in occasione della Pasqua ebraica a Norwich. Le persecuzioni, più gravi nel nord della Francia, raggiungono però il massimo in Germania, fomentate dalla predicazione non autorizzata di un monaco cistercense di nome Rodolfo. Bernardo, avvertito da una lettera dell’arcivescovo di Magonza, si affretta a sconfessarne l’operato, costringendolo a ritirarsi in un monastero (ep. 365). Contemporaneamente si appresta ad intraprendere la predicazione della crociata nei paesi tedeschi,[lix] in compagnia di Geoffroy d’Auxerre, all’inizio dell’autunno. Dopo aver attraversato le Fiandre (Bruges, Afflighem, Liegi), raggiunge quindi Worms e Magonza.[lx] Alla fine di novembre, a Francoforte, ha luogo l’incontro con l’imperatore Corrado III che Bernardo vorrebbe indurre a farsi crociato. Ma la Germania divisa ed inquieta, l’ostilità di Ruggero di Sicilia e la rivoluzione romana, consigliano l’imperatore di rifiutare la proposta. Lo stesso Eugenio III «exilé, de Rome, où le parjure Arnaud de Brescia avait regroupé autour de lui les éléments anarchiques, avait jeté son dévolu, pour la croisade, sur la France et sur l’Italie; il comptait sur l’empereur pour rétablir l’autorité et le prestige du Saint Siège à Rome».[lxi]
Si può quindi parlare di grande forza carismatica di Bernardo, se il 27 dicembre a Spira, appena due giorni dopo un nuovo deciso rifiuto di Corrado III e contro ogni considerazione di opportunità politica, l’abate di Clairvaux ottiene inaspettatamente la sua adesione, durante la celebrazione della messa.

1147
Bernardo prende la via del ritorno, continuando la sua predicazione, costellata di prodigi comprovanti la giustezza della causa crociata. Il 6 febbraio rientra a Clairvaux.
Il 16 febbraio ha luogo la riunione di Etampes con l’intervento di Luigi VII, degli ambasciatori di Corrado III e di Ruggero, cui partecipa anche Bernardo. I siciliani offrono il trasporto via mare delle truppe, molto più veloce e sicuro dalle insidie bizantine. Ma la decisione di andare via terra, rifacendo all’incirca il percorso della prima crociata, era già stata presa da francesi e tedeschi, provocando lo sdegno dei legati di Ruggero e il loro abbandono dell’assemblea.
Viene stabilito inoltre che, durante l’assenza di Luigi VII, il governo del paese venisse affidato a Suger di Saint‑Denis, affiancato dall’arcivescovo di Reims e dal conte Raoul di Vermandois; la partenza dei crociati sarebbe avvenuta l’8 giugno da Metz.
Il 13 marzo Bernardo e Pietro il Venerabile sono presenti alla dieta di Francoforte su invito di Corrado III. In quella sede, viene decisa una offensiva militare contro gli slavi pagani che premono alle frontiere della Sassonia e della Moravia, i cui partecipanti, fregiati da una croce posta sopra un cerchio, avrebbero beneficiato di ogni privilegio concesso ai crociati di Terrasanta.
Questa spedizione, guidata da Enrico di Sassonia, con luogo di riunione a Magdeburgo il 29 giugno, avrebbe permesso a Corrado III di partecipare all’impresa per il sepolcro senza timore di attacchi contro le frontiere dell’Impero.
In aprile, Bernardo è nuovamente a Clairvaux ove accoglie papa Eugenio III che, con il suo viaggio in Francia e il solenne incontro con Luigi VII a Digione, aveva voluto dare la sua personale benedizione alla imminente spedizione.
Il 12 giugno, il re francese parte da Metz con i suoi crociati, mentre Corrado III era già in marcia da maggio. È a questo punto che termina l’apporto diretto dell’abate di Clairvaux al massimo avvenimento militare del suo tempo. Egli non invia alcun suo delegato al seguito delle truppe, ma due antichi cistercensi sono tra loro, il vescovo Goffredo de la Roche e il vescovo Ottone di Frisinga, più qualche monaco di Morimond che riportò in patria una reliquia di san Giorgio.[lxii]
Gilberto de la Porrée
Bernardo può tornare ad interessarsi del governo della propria abbazia e della vita interna del clero francese. Gli è così possibile essere presente alla discussione apertasi il 22 aprile 1147 a Parigi alla presenza di Eugenio III intorno al caso di Gilberto de la Porrée.
Durante un sinodo diocesano dell’anno precedente, erano state infatti levate gravi accuse per errori dottrinali del dotto vescovo di Poitiers da due suoi arcidiaconi che non avevano esitato a fare appello al Papa, recandosi personalmente a Siena presso di lui. Eugenio III aveva rinviato la discussione alla sua visita imminente in Francia, dando modo a Gilberto di essere presente insieme ai suoi due accusatori.
A Parigi, dopo qualche giorno di dibattito, si decide di rimandare il giudizio ad un’altra riunione da tenersi in occasione del concilio di Reims, convocata per il 22 marzo 1148. Su incarico papale, l’abate premostratense Godescalco di San Martino avrebbe dovuto raccogliere le accuse sull’insegnamento di Gilberto, corredandole, com’era consuetudine, con citazioni dei padri.

1148
È in quest’occasione che Bernardo, da semplice spettatore, diviene il principale accusatore del vescovo di Poitiers, assumendo, dietro richiesta di Eugenio III, il compito di esporre le dottrine teologiche errate con la loro confutazione patristica, dal momento che l’incaricato Godescalco era caduto ammalato. Al termine del dibattito, i cardinali, notoriamente favorevoli a Gilberto, riservano a sé il giudizio, provocando le proteste del clero francese che si vedeva sminuito nella sua autorità. Dieci arcivescovi e molti vescovi ed abati si riuniscono quindi nella residenza di Bernardo. La consapevolezza delle alte protezioni di cui godeva l’accusato porta alla decisione “di scrivere un documento esplicitamente contro le tesi di Gilberto perché sembrava questo l’unico modo per evitare che i cardinali lasciassero in sospeso il giudizio”.[lxiii]
Il documento consisteva in un simbolo di fede da contrapporre agli errori teologici di Gilberto e formulato in quattro punti;[lxiv] un testo che Eugenio III si trovò costretto ad accettare, condannando automaticamente la dottrina del vescovo.
E così, secondo quanto scrive Goffredo di Auxerre, segretario di Bernardo,[lxv] nell’assemblea si giunse alla condanna dell’insegnamento del maestro porretano e all’ingiunzione del papa di correggere l’incriminato commento al De Trinitate di Boezio.
Non concordano con lui però gli altri due storici contemporanei che si sono occupati della questione: Ottone di Frisinga[lxvi] e Giovanni di Salisbury.[lxvii]
Il primo, per il quale il fatto di essere un monaco cistercense non implicava automaticamente un’adesione al partito bernardino, mette in piena luce la pressione esercitata dal santo sui vescovi ed abati francesi per giungere ad una dichiarazione di fede che costringesse i cardinali favorevoli a Gilberto a prendere posizione contro di lui. La manovra, che il vescovo Ottone avvicina esplicitamente agli avvenimenti che portarono alla condanna di Abelardo,[lxviii] non mancò di suscitare le proteste dei cardinali che vedevano leso il loro diritto di giudicare simili controversie dottrinali a favore della Chiesa gallicana, e un’impudente fiducia dell’abate nel proprio ascendente su Eugenio III.[lxix] Neppure le pronte spiegazioni di Bernardo riuscirono a placare gli animi, dal momento che dal processo non sortì alcuna condanna nei confronti di Gilberto e del suo insegnamento, salvo l’ordine di emendare i passi incriminati. Sappiamo che tale correzione non ebbe luogo poiché il vescovo di Poitiers, il quale al termine del processo si era assunto tale compito, giudicò sufficiente la redazione di un nuovo prologo ove non manca un preciso attacco agli incompetenti che presumono di dibattere su argomenti teologici.[lxx]
Anche Giovanni di Salisbury rileva nella sua opera l’analogia tra il comportamento di Bernardo verso Gilberto e quello tenuto dal santo nei confronti di Pietro Abelardo. Ma, cosa ancor più grave, egli pone l’incontro di Bernardo con il clero francese per la definizione del simbolo di fede all’inizio e non al termine della discussione. Un fatto che, se risultasse attendibile, renderebbe legittima l’ira dei cardinali «dicentes quod abbas arte simili magistrum Petrum aggressus erat».[lxxi]
Lo storico, come già Ottone di Frisinga, sembra considerare l’esito del processo favorevole a Gilberto de la Porrée e mette in evidenza il suo carattere non ufficiale, tenendo conto – egli puntualizza – che si svolse dopo la chiusura dei lavori del concilio di Reims.
Qualunque sia la vera sequenza dei fatti, «i brani dei Gesta Fríderici e della Historia pontificalis sono indizi di grande importanza storica circa la perplessità con cui i contemporanei, e tra essi anche uomini di notevole prestigio, guardarono a certi atteggiamenti dell’abate; pur riconoscendone la santità, essi non potevano fare a meno di notarne la sconcertante impulsività».[lxxii]
Dopo la chiusura del processo di Reims, Eugenio III si reca nuovamente all’abbazia di Clairvaux per una breve visita dal 24 al 26 aprile.
Quindi, in compagnia di Bernardo che lo segue fino a Losanna, si rimette in viaggio alla volta di Roma.
Alla metà di ottobre, giunge all’abbazia bernardina il legato irlandese Malachia O’Morghair per una breve sosta lungo la strada verso Roma ‑ per incontrarsi con il pontefice. Ma l’anziano arcivescovo che, con la fondazione del monastero di Mellifont, aveva tanto contribuito all’espansione cistercense nell’isola, assalito da febbri, il 2 novembre muore. Il suo corpo viene seppellito con tutti gli onori nella chiesa abbaziale e, su insistenza dell’abate di Inislownagh e dei Cistercensi irlandesi, Bernardo compone il De vita et rebus gestis sancti Malachiae, che verrà poi utilizzato per il processo di canonizzazione (avvenuta il 6 luglio 1190).
Nello stesso anno, muore anche Guglielmo di Saint‑Thíerry, amico di Bernardo e suo primo biografo.

1149
Intanto la disfatta dei crociati in Terrasanta si è fatta completa. Sulla via del ritorno, la nave di Luigi VIII e quella di Eleonora di Aquitania vengono addirittura attaccate dai bizantini, messi però in fuga dalla flotta siciliana. In settembre il re francese è ospite a Potenza di Ruggero, il quale, ormai in guerra aperta contro Manuele Comneno, cerca di far leva sul suo risentimento nei confronti dei bizantini.
Il biasimo popolare circa la sorte della crociata colpisce in primo luogo il suo principale apostolo, Bernardo,[lxxiii] sebbene le cause della sconfitta fossero piuttosto da ricercarsi nella mancanza di unità tra i capi della spedizione, nelle gelosie e rivalità dei cavalieri, nell’incapacità tattica degli strateghi, come lo stesso abate rileva nel suo De consideratione (l. II, c. II) e nell’epistola 238.

Il tramonto (1150‑1153)

1150
Malgrado ciò, Suger lancia l’idea di una nuova spedizione, volta soprattutto a punire i bizantini della loro perfidia, da condursi con le forze riunite di Ruggero, Luigi VII e Corrado III.
Bernardo e Pietro il Venerabile vi aderiscono prontamente, adoperandosi per riconciliare l’imperatore tedesco con Ruggero. Ma i loro sforzi si scontrano contro lo scoglio costituito dall’alleanza tra Germania ed impero bizantino che includeva il progetto di scendere in Italia contro il dominio normanno. Ruggero, dapprima favorevole alla proposta di Suger, è costretto così a dissociarsene, preoccupato della difesa delle proprie frontiere.
L’abate di Saint‑Denis ripiega quindi sull’idea di un’offensiva limitata alle truppe francesi contro i musulmani ed in base a questa si muove. In aprile ha luogo una riunione di vescovi e nobili a Laon per discutere sull’opportunità di una spedizione. La decisione è rimandata ad una nuova convocazione per il 7 maggio a Chartres. Intanto viene consultato Eugenio III. Al 25 aprile data la lettera di risposta del papa, il quale, pur promettendo tutti i privilegi concessi alla seconda crociata, lascia intendere la sua titubanza nell’imbarcarsi in una nuova impresa, tra le polemiche suscitate dall’insuccesso dell’anno precedente, nonché nell’allearsi con l’antico nemico Ruggero, inimicandosi viceversa il maggior sostenitore storico del papato, l’imperatore germanico.
Il tono freddo di Eugenio III non manca di essere avvertito da Luigi VII. Nell’assemblea di Chartres, egli e i suoi feudatari, pur garantendo la propria adesione, lasciano al clero francese la direzione della nuova crociata. Bernardo è quindi eletto capo della spedizione.
Un secondo concilio, convocato a Compiègne per il 15 luglio 1150, non ebbe mai luogo, e la stessa bolla di Eugenio III del 19 giugno, confermante le nuove funzioni di Bernardo, venne cassata poco dopo, dietro insistenza dello stesso Ordine cistercense.

1151
Ma il definitivo colpo di grazia al progetto viene dalla morte del suo principale animatore Suger di Saint‑Denis, avvenuta il 13 gennaio 1151. Una morte senz’altro imprevista, se egli aveva già provveduto ad inviare cospicui fondi a Gerusalemme ed a raccogliere un buon numero di soldati.
Nell’aprile dello stesso anno, l’intervento di Bernardo permette la riappacificazione di Luigi VII con il fratello Enrico, monaco di Clairvaux e vescovo di Beauvais. Costui infatti si era reso colpevole dell’abolizione di una imposta sul tesoro episcopale a favore della nobiltà locale, provocando le proteste e l’intervento del re.
Poco dopo, anche la successione alla sede episcopale di Auxerre, vacante dopo la morte del suo antico amico Ugo di Vitry, richiede la mediazione bernardina. La vicenda delle varie candidature, di cui è continuamente messo al corrente Eugenio III, si conclude con la scelta di Alano, abate di Arrivour – monastero della linea claravallense –, effettuata da una commissione di tre membri, M compreso Bernardo (epp. 275, 276, 280, 282).
Nel frattempo il panorama politico internazionale era mutato. Già nel giugno del 1150, la borghesia romana, sotto la parola di Arnaldo da Brescia, si era sollevata nuovamente contro il pontefice. L’esito della vicenda è reso ancora più incerto dalla morte di Corrado III il 15 febbraio 1152, cui succede Federico I.

1152
Emissari di Arnaldo e legati papali alla corte germanica cercano di procurarsi l’appoggio del giovane imperatore. Gli sforzi di Arnaldo, che intendeva privare il papato del potere temporale per affidarlo ad un imperatore affiancato da due consoli e da un senato, sono però annullati dalla manovra di Eugenio III che riesce ad accordarsi con i senatori da poco eletti.
Rientrato solennemente a Roma il I° novembre 1152, consolida ulteriormente la propria posizione con un trattato in difesa del papato, firmato da Federico I (23 maggio 1153).

1153
Poco tempo dopo, l’8 luglio 1153, muore a Tivoli. Gli succede Corrado, cardinale di Santa Sabina, col nome di Anastasio IV.
La notizia della scomparsa del suo antico discepolo, coglie Bernardo già prostrato da un ultimo viaggio compiuto all’inizio dell’anno a Metz, allo scopo di riportare la pace tra il vescovo e il fratello Renaud da una parte e Matteo di Lorena ed Enrico di Salm dall’altra.
Le fatiche della missione, coronata dal successo e da numerosi miracoli di Bernardo (Vita prima, lib. IV, c. VIII, 49, in P.L. 185, col. 349), lo avevano però fiaccato definitivamente, tenuto conto che mai aveva goduto eccellente salute.
E così all’ora terza (circa le nove del mattino) del 20 agosto 1153, Bernardo esala l’ultimo respiro, vestito della tunica del suo grande amico Malachia O’Morghair. Due giorni dopo, viene seppellito con tutti gli onori sotto l’altar maggiore della chiesa di Clairvaux, insieme alle reliquie di san Taddeo apostolo, ricevute in dono proprio in quell’anno da Gerusalemme.

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* Avvertenza. La presente cronologia, già pubblicata in questa rivista nel n. 3, 1984, viene qui riproposta integralmente nel nono centenario della nascita di san Bernardo. L'intento del lavoro non è di offrire una completa biografia di san Bernardo, che rimane ancora di problematica realizzazione, dato le ampie lacune che sussistono. Si è voluto, piuttosto, approntare uno strumento di lavoro che per­metta, con una rapida consultazione, di avere un quadro abbastanza preciso dell'attività bernardina in ogni momento. A tale scopo è stata evidenziata la scan­sione cronologica ‑ di qui il titolo del contributo ‑ accettando, nel caso di datazioni discordi, la tesi più documentata. Nel contempo, un essenziale apparato di note fornisce indicazioni bibliografiche di aggiornamento sulle più complesse vicen­de di cui san Bernardo è protagonista.
[i] In alcune biografie del santo è possibile trovare indicato come anno di na­scita anche il 1091.
[ii] Nei numerosi documenti amministrativi che di lui restano nelle bibliote­che e archivi della zona soggetta alla sua giurisdizione, è usato il titolo di ca­valiere, essendo venuto meno dal 1063 quello dì conte e di duca. Lo stemma della sua casata è costituito da uno scudo di argento attraversato da una sola banda, distinta in due ordini di scacchi.
[iii] Sulla famiglia di san Bernardo, cfr. M. CHAUME, Les origines familiares de saint Bernard, in Saint Bernard et son temps. Recueil de mémoìres et com­municatìons présentés au congrès, publié par ies soins de l'Accademie des sciences, arts et belles‑lettres de Dijon, Dijon 1928‑1929, vol. I, pp. 75‑112; J. RICHARD, Le milieu familial, in Bernard de Clairvaux, Paris 1953, pp. 3‑15; J. LAURENT, A propos de l'ascendance maternelle de sain Bernard. Seigneurs de Monthard et seigneurs des Ricey, in Mélanges saint Bernard, XXIV con­grès de l'Association bourguignonne des societés savantes, Dijon 1953, pp. 9‑18; A. FUSCIARDI, Genealogia della famiglia di san Bernardo dal secolo IX al XX, in 'Notizie cistercensi', VII (1974), pp. 64‑88.
[iv] Vita prima, lib. I, c. I, 2, in P. L., 185, coll. 227‑228. Riporto qui di seguito la traduzione del Magagnotti: « ... il quale mosso su­bitamente dallo spirito profetico, con cui Davìdde dei Santi predicatori disse al Signore: La lingua dei vostri cani s'imbratta nel sangue de vostri nemici da lui sparso, rispose alla madre ansiosa e tremante: Non temete, il tutto va bene, sarete madre di un ottimo cagnolino, il quale dovendo essere custode della casa del Signore, ha da far sentire in favore di lei grandi latrati contra gl’inimici della fede. Imperciocché sarà un valente predicatore, e a guisa di un buon cane, colla grazia della sua lingua medicinale in molti ha da curare le malattie del­l'anima». La vita di San / Bernardo / primo abate / di Chiaravalle scritta già in Latino da diversi contemporanei e accreditati / Autori, e da essi pure in sette Libri divisa; / ora nel nostro Volgare tradotta, ed accresciuta di una diffusa Prefazione, / di varie Appendici, di molte Istoriche e Monastiche Annotazioni, / e di un indice dovizioso delle cose più ragguardevoli: / dedicata all'eminentissi­mo, e reverendiss. principe / il signor cardinale / Carlo Rezzonico / Vescovo di Padova / da Pietro Magagnotti / teologo del Collegio di Padova e Parroco di Santa Caterina. In Padova, appresso Giuseppe Comino, 1744, p. 4.
[v] Cfr. J. MARILIER, Les premières années. Les études à Chatillon, in Ber­nard de Clairvaux, cit., pp. 17‑27.
[vi] Vita prima, lib. I, e. 111, 10, in P. L., 185, col. 233. «… conoscendo esser cosa malagevole il ripugnare alle divine chiamate…» La Vita, cit., p. 10.
[vii] Basti riferirsi a quella, peraltro molto puntuale, di Anselme Dimier, Sur les pas de saint Bernard, in ‘Cîteaux’, XXV (1974), pp. 223‑248.
[viii] A. H. BREDERO, Etudes sur la “Vita prima” de saint Bernard, in ‘Analeeta sacri Ordinis cisterciensis’, XVII (1961), pp. 3‑72: 71.
[ix] Cfr. R. POSSIER, La fondation de Clairvaux et la famille de saint Bernard, in Mélanges saint Bernard, cit., pp. 19‑27.
[x] Vita prima, lib. I, e. V, 26, in P.L., 185, col. 242. «Vide da ogni parte delle vicine montagne discendere nella valle inferiore una moltitudine si grande dì uomini di vestimento e genere diverso, che la valle stessa capire non gli poteva». La Vita, cit., p. 22.
[xi] Il problema del transitus di Roberto, connesso strettamente ai primi attacchi bernardini contro il modo di vita cluniacense – Ep. 1 e Apologia – è stato oggetto di particolare attenzione nella moderna storiografia. Per il complesso problema, cfr. A. H. BREDERO, Cluny et Cîteaux au XII siècle: les origines de la controverse, in ‘Studi medievali’, XII (1971), pp. 135‑175; P. ZERBI, Intorno allo scisma di Ponzio abate di Cluny (1122‑1126), in Studi storici in onore di Ottorino Bertolini, Pisa 1972, pp. 835‑891; J. LECLERCQ‑A. IL BREDERO‑P. ZERBI, Encore sur Pons de Cluny et Pierre le Vénérable, in ‘Aevum’, XLVIII (1974), pp. 135‑149; J. B. VAN DAMME, Bernard de Clairvaux et Pons de Cluny. Controverse au sujet d’une controverse, in ‘Cîteaux’, XXV (1974), pp. 271‑286; A. PIAZZONI, Crisi monastica tra Cistercensi e Cluniacensi, in ‘Benedictina’, XXIX (1982), pp. 91‑122 e 405‑436.
[xii] Cfr. P.L., 151, col. 487. Vedi anche lo studio di G. PICASSO, San Bernardo e il ‘transitus’ dei monaci, in Studi su san Bernardo di Chiaravalle nell’ottavo centenario della canonizzazione, Atti del convegno internazionale (Certosa di Firenze 6‑9 sett. 1974), Roma 1975, pp. 181‑200 (per Roberto in particolare le pagine 187‑188).
[xiii] Per la «crisi morimondese», cfr. L. GRILL, Clairvaux und Morimond, die Mutterabtei der österreichische Cistercienserklöster, in Festschrift zum 800 – Jahrqecliichtnis des Todes Bernhards von Clairvaux, Múnchen 1953, pp. 31‑118; E. KRAUSEN, Morimond, die Mutterabtei der bayrischen Zisterzen, in ‘Analecta sacri Ordinis cisterciensis’, XIV (1958), pp. 334‑345 e A. H. BREDERO, Etudes, cit., pp. 66‑70.
[xiv] Per quest’ultimo aspetto della sua attività, l’apertura verso l’esterno si registra., stando alle Vite, già a partire dal 1122.
[xv] Cfr. HERMAN, De miraculis S. Mariae Laudunensis, lib. III, e. XI, in P.L. 156, col. 1000 e A. DIMIER, Le miraele des mouches de Foigny, in ‘Cîteaux’, VIII (1957), pp. 57‑62.
[xvi] Cfr. P. COUSIN, Les débuts de l’ordre des Templiers et saint Bernard, in Mélanges saint Bernard, cit., pi). 41‑52; M. BARBER, The origins of the Order of the Temple, in ‘Studia monastica’, XII (1970), pp. 219‑240.
[xvii] C.H. TALBOT, San Bernardo nelle sue lettere, in San Bernardo. Pubblicazione commemorativa nell’VII centenario della sua morte, Milano 1954, p. 156. La studioso continua con un’atra utile osservazione che andrebbe ulteriormente approfondita: «È difficile quindi di accettare senza riserve le sue asserzioni che, a meno che non avesse ricevuto dalle autorità superiori l’ordine in intromettersi in questioni di disciplina ecelesiastica se ne sarebbe rimasto tranquillamente nella sua cella a Chiaravalle, meditando le sacre scritture e occupandosi delle osservanze monastiche della sua abbazia». Cfr. anche J. LECLERCQ, Psicologia e vita spirituale in san Bernardo, in Studi su san Bernardo, cit.. pp. 215‑243.
[xviii] Cfr. ep. 48; e LAURENT DE LIEGE, Virdunensium episcoporum historia, in Rec. Hist.
Gaules, XIII, 636.
[xix] Per la ricostruzione storica dello scisma del 1130, cfr. P. P. PALUMBO, Lo scisma del MCXXX. I precedenti, la vicenda romana e le ripercussioni europee della lotta fra Anacleto e Innocenzo II, Roma 1942; F.J. SCHMALE, Studien rum Schisma des Jahres 1130, Köln‑Graz 1961 (‘Forschungen zur Kirchlichen Rechtsgeschichte und zum Kirchenrecht’ 3); P.F. PALUMBO, Nuovi studi (1942-1962) sullo scisma di Anacleto II, in ‘Bullettino dell’Istituto, storico italiano per il medioevo e archivio muratoriano’, LXXV (1963), pp. 71‑103 e MARIO DA MILANO, La duplice elezione papale del 1130. 1 precedenti immediati e i Protagonisti, in Contributi dell’Istituto di storia medievale, I, Raccolta di studi in memoria di Giovanni Soranzo, Milano 1968 (pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore), pp. 265‑302.
[xx] Monaco benedettino, divenuto abate del monastero dei SS. Nicola e Primitivo in Gabi e quindi cardinale diacono di santa maria Nova.
[xxi] Aimery de la Chatre, che ebbe un ruolo determinante in tutte le complesse fui dello scisma, era di nobile famiglia borgognona ed amico personale sia di Bernardo (epp. 15, 20, 48, 51. 54, 157, 160, 163, 181 e 144, in cui accenna all’amore filiale verso il cancelliere al quale dedicherà il trattato De diligendo Deo) sia di Pietro il Venerabile. Viene chiamato dal papa francese Callisto II nel 1123 a rivestire la carica di cancelliere, con la contemporanea. nomina a cardinale.
[xxii] Membro della facoltosa e potente famiglia dei Pierleoni, di origine ebraica, ma convertitasi al cristianesimo sotto Leone IX, dopo aver condotti gli studi a Parigi, era divenuto monaco nell’abbazia di Cluny. Pasquale II, dietro pressioni dei parenti, lo richiama però a Roma. in seguito gli viene data la porpora cardinalizia col titolo di San Callisto.
[xxiii] P.P. PALUMBO, op. cit., pp. 227‑228.
[xxiv] 24 Già legato apostolico di Gelasio II, Callisto II e Onorto II, nonché insostituibile consigliere di Pasquale II che riuscì a liberare nel concilio Lateranense del 1112 dai pericolosi impegni contratti con Enrico V, grazie alla sua profonda conoscenza del diritto canonico. Pur avendo ricevuto l’offerta di Anacleto II della conferma delle proprie funzioni di legato in Aquitania fin dal maggio 1130, Invia, tramite lettera, la propria adesione al concilio di Reims del 1131 (vedi oltre) che riconosce papa Innocenzo II, sollecitando poco dopo la conferma pontificia del proprio incarico. Profondamente deluso dal fatto che gli viene preferito Goffredo di Lèves, vescovo di Chartres e amico di Bernardo, Gerardo di Angoulême passa senza ripensamenti allo schieramento opposto, adoperandosi attivamente al suo successo. Azione resa ancor più efficace dalla cumulazione della carica arcivescovile di Bordeaux, alla morte di Arnaldo di Cabnac (29 aprile 1131), a quella, già saldamente tenuta, di vescovo di Angoulême. È interessante notare che nella narrazione di Ernaldo di Bonneval della vita di san Bernardo non si fa cenno alcuno del successivo mutamento di campo, Preoccupato com’è il biografo a gettar in cattiva luce l’avversario di Bernardo più che di offrire un racconto corretto dei fatti (Vita prima, lib. II, c. VI, 32‑39, in P.L. 185, coll. 286-291). Anche questo episodio si può con facilità comprendere nell’ambito dell’aspra. e spesso subdola campagna anti-anacletiana promossa dal partito innocenziano, che pure In tale occasione aveva dato prova di una considerevole ottusità politica nell’affrontare questo piccolo scisma aquitanico. Ma forse troppo poco ancora sappiamo delle molteplici ripercussioni delle vicende del 1130. Almeno in questo caso, è doveroso non sottovalutare la reale portata dell’influenza bernardina sui fatti, fin dall’inizio ostile al fasto e alla potenza del vescovo di Angoulême.
Su questo argomento, cfr. anche H. CLAUDE, Autour du schisme d’Anaclet: saint Bernard et Girard d’Angoulême, in Mélanges saint Bernard, cit., pp. 80‑94.
[xxv] Cfr. A. DIMIER, Saint Bernard, est‑il allé en Angleterre?, In ‘Collectanea Ordinis Cisterciensium reformatorum’, IX (1947), pp. 16‑19.
L’autore rifiuta con validi argomenti l’idea di molti studiosi che Bernardo in quell’occasione abbia raggiunto l’Inghilterra per portarsi a colloquio con il re. Certamente non può risultare strano che Enrico I soggiorni In Normandia, visto che in quel momento si trattava di un feudo della corona inglese.
[xxvi] Vita prima, lib. II, c. I, 5, in P.L., 185, coll. 271‑272. «Imperocché resistendo coraggiosamente al re, con meravigliosa libertà corresse la maligna istanza, e con maravigliosa autorità la represse”. La Vita, cit., p. 60.
[xxvii] Pietro Abelardo, primogenito di Berengario e Lucia, nato a Pallet, villaggio bretone presso Nantes, nel 1079 aveva condotto i propri studi dapprima presso il nominalista Roscellino, poi alla scuola parigina del realista Guglielmo di Champeaux (1099 o 1110). Divenuto presto famosa per la sua dialettica, trova un feroce avversario nella persona di questo suo antico maestro. Ostacolato in tutti i modi nel tentativo di conseguire una cattedra, compie gli studi teologici con Anselmo di Laon. Tra il 1113 e il 1114 conquista finalmente la cattedra parigina. Per breve tempo, però, perché lo scandalo scoppiato per la sua travolgente relazione con la giovane Eloisa e, di lì a poco, l’evirazione perpetrata dai parenti della giovane, conduce Abelardo alla decisione di entrare nell’abbazia di Saint‑Denis.Le sue disavventure non finivano però con l’ingresso nel chiostro.All’astio che suscitano le sue critiche alla rilassatezza della vita monastica, si aggiungono le accuse sempre più pesanti di eresia, nell’insegnamento del suo pensiero, che culminano nel processo di Soissons nel 1121 e la conseguente condanna. Dopo altre disastrose esperienze con la comunità di Saint‑Denis, costruisce un piccolo oratorio intitolato allo Spirito Santo consolatore – Paracleto –, ove continua in solitudine gli studi. Divenuto abate di Saint‑Gildas de Rhuys, nel 1130 a Morigny ottiene da Innocenza II il permesso di istallare, al Paracleto, Eloisa come badessa e le sue monache, scacciate da Argenteuil. Nel 1135 torna a Parigi dove riprende l’insegnamento con grande successo. Ciò non farà altro che attirargli nuove accuse e una seconda condanna al concilio di Sens dove agisce come protagonista Bernardo (vedi pp. 41‑43). L’esito di quest’ultimo scontro con la cultura tradizionalista prostra definitivamente l’anziano filosofo che il 21 aprile 1142 muore nel piccolo monastero di Saint Marcel, presso Châlons, sotto la protezione di Pietro il Venerabile. Su richiesta di Eloisa, il suo corpo viene tumulato al Paracleto. Le sue opere, moltepdici grazie alla sua feconda attività, sono bruciate pubblicamente, nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma.
[xxviii] 28 Su questo primo contrasto tra le due grandi personalità, vedi il recente studio di P. ZERBI, Panem nostrum supersubstantialem. Abelardo polemista ed esegeta nell’ep. X, in Raccolta di studi in memoria di S. Mochi Onory, Milano 1972 (‘Contributi dell’Istituto di storia medioevale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore’), pp. 624‑638. Lo stesso Abelardo nella sua lettera Ad Bernardum (Ep. X in P.L., 178, coll. 335 segg.) spiega il suo punto di vista: se san Matteo, apostolo ed evangelista, presente quando Cristo insegnò agli uomini il Pater noster, riporta supersubstantialem nel suo Vangelo (VI, 9), questo termine è senz’altro più attendibile del cotidianum usato da san Luca, che non fu testimonio oculare, come neppure il suo maestro san Paolo. Ma l’operazione di recupero storica e filologico di Abelardo, che trovava nello stesso sant’Agostino la sua piena legittimazione (‘Ratio et veritas consuetudini praeferenda est’) non poteva non essere osteggiata da uno strenuo difensore della tradizione qual era Bernardo di Clairvaux.
[xxix] Per i contatti precedenti al concilio di Sens del 1140, cfr. E. LITTLE, Relations between St. Bernard and Abelard before 1139, in Saint Bernard of Clairvaux, Studies commemorating the eight Century of his canonisation, a cura di M. B. Pennington, Kalamazoo (Mich.) 1977, pp. 155‑168.
[xxx] 30 Nato a Brescia in un anno imprecisato a cavallo dell’XI e XII secolo, era divenuto canonico regolare e acceso predicatore contro gli abusi del clero corrotto di cui chiedeva la riforma. I suoi discorsi alla base di notevoli disordini verificatisi nella città, gli valsero nel concilio Lateranense nel 1139 la condanna all’esilio dall’Italia. Rifugiatosi in Fiancia presso Pietro Abelardo, ne accoglie l’insegnamento ed è coinvolto nella sua condanna al concilio di Sens del 1140. Ciò è frutto anche dell’aperta ostilità nei suoi confronti di Bernardo il quale, nell’Epistola 189 inviata a Innocenzo II all’indomani della chiusura del concilio, non aveva mancato di rilevare la presenza: «Il collegare infatti così strettamente il filosofo audace all’irrequieto riformatore religioso, che il pontefice aveva già allontanato da Roma, era certo, nell’intenzione dell’abate, un efficace espediente polemico, dotato di una carica esplosiva tale da nuocere ad entrambi, Abelardo e Arnaldo…». (P. ZERBI, San Bernardo di Chiaravalle e il concilio di Sens, in Studi su san Bernardo, cit., p. 63).Non riuscendo malgrado ciò a zittire Arnaldo, il quale continuava a tenere lezioni presso Parigi, Bernardo si adopera in più modi per ottenere l’espulsione dalla Francia, poi da Zurigo, dove si era rifugiato, ed infine per alienarlo dalla protezione del cardinale legato Guido (epp. 189, 195, 196, 330). Nonostante la vigilanza dell’abate, Arnaldo ricompare a Roma per compiere un pellegrinaggio espiatorio, dopo il Perdono ottenuto da Eugenio III a Viterbo. Ma l’inquietudine dei romani che rendeva precaria la stessa residenza papale e non mancava di cogliere occasione per sfociare in aperta ribellione, non tarda a risvegliare In Arnaldo le antiche idee, convinto com’era che la sottrazione del potere temporale alla Chiesa avrebbe comportato un ritorno alla primitiva povertà evangelica. Appoggia così con la sua parola la rivolta della città contro il pontefice, culminata con l’offerta di Roma all’imperatore Corrado (1149). Ma con l’elezione di Federico Barbarossa (9 marzo 1152), che Eugenio riesce a trarre dalla propria parte, le cose si mettono male per i seguaci di Arnaldo, che, nel dicembre del 1152, assistono ad una riconciliazione tra il papa e la cittadinanza romana. Di li a poco, sotto Adriano IV, succeduto in breve tempo a Anastasio IV, eletto papa alla morte di Eugenio III, Arnaldo viene catturato e giustiziato. Cfr. A. FRUGONI, Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII, Roma 1954 (‘Studi storici’ 8‑9) e IDEM, Arnaldo da Brescia, in Dizionario biografico degli italiani, IV, Roma 1962, pp. 247‑250. Per una prospettiva più ampia, cfr. R. MANSELLI, Profilo della storia religiosa italiana del secolo XII, in Il secolo XII: religione popolare ed eresia, Roma 1983, pp. 311‑331.
[xxxi] P. ZERBI, i rapporti di san Bernardo di Chiaravalle con i vescovi e le diocesi d’Italia, in Vescovi e diocesi in Italia nel Medioevo (sec. IX‑XIII), Atti del II convegno di storia della Chiesa in Italia (Roma, 5‑9 settembre 1961), Padova 1964 (‘Italia sacra. Studi e documenti di storia ecelesiastica’ 5), p. 239.
[xxxii] Per la discussione di questo problema, vedi lo studio di cui a nota (31), in particolare le pp. 238‑239, n. 4.
[xxxiii] P. ZERBI, I rapporti di san Bernardo di Chiaravalle con i vescovi e le diocesi d’Italia, cit., p. 238. In questo suo contributo lo studioso tende a ridimensionare il ruolo di Bernardo nella vicenda dello scisma del 1130.
[xxxiv] Cfr. R. TOSO D’ARENZANO, San Bernardo e la città di Genova, In ‘Aevum’, XXXV (1961), pp. 419‑454; 448‑451.
[xxxv] L’interessamento di Bernardo verso Filippo non termina qui. Con la vittoria innocenziana e il concilio Lateranense del 1139, il giovane ecclesiastico era stato deposto dalla carica di arcivescovo di Taranto e non aveva tardato a rifugiarsi tra le file dei monaci di Clairvaux. Bernardo tenterà di ottenergli il perdono di Eugenio III nel 1148 ed una seconda volta indirizzando al papa la lettera 257. Ambedue gli sforzi rimarranno però senza esito. Tuttavia in questo frangente si dimostra più pietoso l’abate di Clairvaux, se al momento della propria morte, il priore in carica all’abbazia. era proprio Filippo.
[xxxvi] A parte il rancore di vecchia data che Luigi VI covava contro Stefano di Sanlis, del quale Tomaso era consigliere ed amico, non sembra strano che le sue simpatie vadano al clero corrotto piuttosto che alla sua parte riformatrice, aliena da qualsiasi compromesso temporale e troppo legata all’autorità pontificia. Non a caso sono Proprio gli elementi più intransigenti dell’ala riformistica, i Cistercensi ed i Certosini, che levano più alte le voci di protesta contro gli assassini rimasti pressoché impuniti.
[xxxvii] Si tratta di una stola lunga e stretta, di lana bianca, con due lembi pendenti, ornata da sei croci nere e da frange che il papa, i patriarchi, gli arcivescovi e alcuni vescovi portano sulle spalle nelle cerimonie solenni, (cfr. M. RIGHETTI, Storia liturgica, v. I, Milano 1950 (11 ed.), pp. 528‑530). È chiaro che la politica sempre più accentratrice e «romana» dei pontefici non poteva vedere di buon occhio queste superstiti mire autonomistiche. Cfr. anche P. ZERBI, La Chiesa ambrosiana di fronte alla Chiesa romana dal 1120 al 1135, in ‘Studi medievali’ IV (1963), pp. 136‑216.
[xxxviii] LANDULFI DE S. PAULO, Historia mediolanensis, in Monumenta Germaniae Historica, ed. di G. M. Pertz, XX, Hannover 18 8, c. LIX, p. 46.
[xxxix] Sulla questione milanese, cfr. le epp. 132, 133, 134, 137, 314.
[xl] P.F. PALUMBO, op. Cit., P. 540.
[xli] Era stato proprio Robaldo d’Alba che, nel 1128, durante l’analogo contrasto tra Anselmo V della Pusterla e il pontefice, aveva consigliato il suo metropolita a permanere sulla scelta delle prerogative ambrosiane. Anche a causa di questo suo antico atteggiamento anti‑romano, gli riusciva difficile ottemperare senza forti opposizioni alle reiterate richieste di Innocenzo II.
[xlii] Cfr. PIETRO DIACONO, Chronica Montis Cassinensis, in Monumenta Germaniae Historica, ed. di G. H. pertz, IV, Hannover 1887, pp. 118 e ss. Dal suo racconto talvolta parziale si deduce la sua antipatia verso il partito innocenziano e verso lo stesso Bernardo. È da aggiungere che il nuovo abate Vibald, una volta partito il suo augusto protettore, si troverà ben presto a dover fronteggiare il suo predecessore Rainaldo, forte dell’appoggio normanno, e dopo una breve resistenza sceglierà la fuga in Germania. Verrà quindi eletto un altro Rainaldo il cui operato si rivelerà subito di ispirazione innocenziana.
[xliii] Vita prima, lib. II, c. Vii, in P. L., 185, col. 295.«Era già giunto il tempo in cui ridottasi al colmo la malizia dell’Amorreo, l’angelo percussore avventava la spada, e oltrepassando le case, le soglie delle quali erano spruzzate dal sangue dell’agnello, venendo alla casa di Pier‑Leone, né ritrovandovi il segno salutevole, percosse quel miserabile, non riducendolo però repentinamente a morte, ma lasciandogli tempo di penitenza per tre giorni. Colui abusandosi della pazienza di Dio, morì nel suo peccato da disperato», La Vita, cit., P. 89.
[xliv] Cfr. G. CONSTABLE, The disputed election at Langres in 1138, in ‘Traditio’, XIII (1957), pp. 119‑152.
[xlv] Un’accurata esposizione storica dello scontro tra questi due personaggi è costituita dall’intervento dello Zerbi: P. ZERBI, San Bernardo e il concilio di Sens, in Studi su san Bernardo, cit., pp. 49‑73. Altri contributi sul processo: G. DELAGNBAU, Le concile de Sens de 1140. Abélard et saint Bernard, in ‘Revue spologétique’, LII (1931), pp. 385‑408; J. RIVIERE, Le «Capitula» d’Abélard condamnés aux concile de Sens, in ‘Recherches des thèologie ancienne et médiévale’, V (1993), pp. 5‑22; NICOLAU D’OLWER, Sur quelques lettres de saint Bernard. Avant ou après le concile de Sens, in Mélanges saint Bernard, cit., pp. 100‑108; J. JEANNIN, La dernière maladie d’Abélard: une alliée imprévue de saint Bernard, ibidem, pp. 109‑115 e E. LITTLE, The source of the Capitula of Sens of 1140, In Studies in Medieral Cistercian History. II, a cura di J. R. Sommerfeldt, Kalamazoo (Mich.) 1976. pp. 87‑91.
[xlvi] Cfr. anche Vita prima, lib. III, e. V, 13‑14, in P.L., 185, coll. 310‑311. È interessante notare che l’autore del terzo libro della biografia, Goffredo di Clairvaux, non menziona affatto la riunione preliminare dei vescovi guidati da Bernardo, mentre sottolinea con enfasi «l’annichilimento» di Abelardo dinnanzi all’abate.Il concilio di Sens è incluso, assieme alla lotta di Bernardo contro Gerardo di Angouléme, alle elezioni di Langres e di York, da Anselme Dimier nel suo contributo: A. DIMIER, Outrances et roueries de saint Bernard, In Pierre Abélard.
Pierre le Vénérable. Les courantes philosophiques, littéraires et artistiques en occident au milieu du xiie siècle, Atti e memorie del colloquio internazionale (Cluny 2‑9 luglio 1972), Paris 1975, pp. 655‑670.
[xlvii] Così il Leclereq spiega la diversità tra le due poffizioni: «Cette théologie [la ‘patristical’] ne cherche pas, en premier lieu, à devenir une science spéculative: c’est seulement à partir d’Abélard que le mot revêtira cette signification; elle ne tend pas a dégager du donné révélé des consequences nouvelles, des “conclusions théologiques”. Elle consiste plutôt dans l’inventaire de la révélation. La scolastique sera une “recherche”, ses mots d’ordre seront: “Quaeritur” et “Solet quaeri”. La patristique est une possession une confessio fidei. Elle devient souvent, du fait des hérésies, une defensio fidei; mais sur ce terrain même, elle demande ses arguments à l’Ecriture et à la tradition plus volontiers qu, aux considérations spéculatives. Cette mentalité patristique se prolonge dans le monachisme au cours. de tout le moyen‑âge”. E ancora: “Aux procédés que les écoles appliquaient à la pagina sacra – la disputatio, la quaestio –, et d’où devaient sortir les Summae sententiarum, ils [i monaci] préféraient la lectio divina et, quand ils écrivaient, le “florilège” destiné, non à la recherche intellectuelle mais à la prière et à la méditation, oratio meditativa». J. LECLERCQ, Saint Bernard théologien, in San Bernardo, cit., pp. 31‑32. Cfr. inoltre, T. I. RENNA, Bernard versus Abélard: an Ecelesiological Conflict, in Simplicity and ordinariness, Studies in Medieval cistercian History, IV, a cura di I. R. Sommerfeldt, Kalamazoo (Mich.) 1980, pp. 94‑117.
[xlviii] D. BAKER, San Bernardo e l’elezione di York in Studi su san Bernardo, cit., p. 179. Cfr. inoltre, R. MANSELLI, Il senato romano ed Eugenio III. A proposito di san Guglielmo, arcivescovo di York in ‘Bullettino dell’archivio paleografico italiano’, II-III (1956‑57), pp. 127‑134.
[xlix] Cfr. le epp. 216‑227 e 358 di Bernardo e Vita prima, lib. IV, e. III, e. III, 12, in P. L., 185, coll. 328‑329.
[l] Cfr. R. MANSELLI, Evervino di Steinfeld e san Bernardo di Clairvaux, in Studi sulle eresie, cit., pp. 89‑109.
[li] Cfr. le epp. 238 e 239 per rendersi conto dei sentimenti contrastanti di Bernardo alla notizia dell’elezione di Eugenio III: costernazione e timore sulle capacità di governo del suo antico monaco, gioia e fiducia nelle scelta dei cardinali. Sul pontificato di Eugeino III, cfr. H. GLEBER, Papst Eugen III, Jena 1936, e AA. VV., Il beato Eugenio III, Pisa 1954.
[lii] Cfr. F. MILLOSEVICH, Rapporti tra san Bernardo di Chiaravalle e la città di Roma, in Atti dei V congresso nazionale di studi romani, a cura di C. Galazzi Paluzzi, Poma 1942, v. III, p. 86. Utile anche l’osservazione del Brezzi: «… si deve riconoscere che egli non cercò, né riuscì, a comprendere i bisogni e le esigenze degli abitanti, non avvertì il valore del moto grandioso dei comuni italiani che anelavano ad una giusta autonomia nel loro ambito. Egli, sia per la sua origine nobiliare (apparteneva infatti all’alta feudalità borgognona), sia per la sua convinzione dell’assoluta supremazia papale sopra qualsiasi potestà temporale, non concedeva ai borghesi e popolani di Roma alcuna libertà». P. BREZZI, San Bernardo e Roma, in Studi romani, II (1953), pp. 496‑509: 504. Identico atteggiamento aveva tenuto del resto in occasione della vacanza della sede episcopale di Reims nel 1138, durante la quale i cittadini avevano costituito il municipio.
[liii] Le poche notizie su di lui ci inducono a Pensare che fosse Istruito e forse monaco. Nel 1135 venne arrestato dall’arcivescovo di Arles che lo invia al concilio di Pisa, presieduto da Innocenzo II; lì, grazie all’abiura delle proprie dottrine, ottiene una condanna più lieve del previsto: l’obbligo di ritirarsi in un monastero. Bemardo, presente al concilio, si offre di accoglierlo a Ciairvaux (Vita prima, lib. VI, c. III, 5, in P. L., 185, col. 412). Ma passate le Alpi, Enrico torna alla sua pericolosa predicazione. Cfr. R. MANSELLI, Il monaco Enrico e la sua eresia, in ‘Bulletino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo’, LXV (1953), pp. 1‑63 e IDEM, Il monaco Enrico, In Studi sulle eresie del secolo XII, Roma 1953, pp. 1‑23.
[liv] GOFFREDO DI CLAIRVAUX, Epistola ad dominum Archenfredum, in P.L., 185, col. 412. «La terra sedotta da tante erronee dottrine abbisognerebbe di una lunga predicazione: ma né il signor abate ha forze convenevoli per fatica si grande, e molto più egli teme di non essere molesto al suoi fratelli…». La Vita, cit., p. 233.
[lv] R. MANSELLI, Evervino di Steinfeld e san Bernardo, in Studi sulle eresie, cit., p. 108.
[lvi] La seconda bolla di Eugenio III rappresenta la prima vera e propria codificazione dei diritti e dei doveri dei crociati: la protezione dei loro beni durante l’assenza dalla patria, la regolamentazione delle indulgenze, ecc. Cfr. per questo, E. CASPAR‑P. RASSOW, Die Kreuzzugsbullen Eugens III, in ‘Neues Archiv’, XXXV (1924), pp. 285‑305.
[lvii] Ep. 245 a Eugenio III. A prescindere dalla sua attenzione ‑verso i Templari che raccomanda al patriarca di Gerusalemme, a quello di Antiochia e alla regina Melisenda (epp. 175, 207, 289 e 392), Bernardo non si era fino allora mai interessato alla Terrasanta. Neppure l’offerta fattagli da Baldovino II di 1.000 scudi d’oro e di un luogo per la fondazione di un monastero cistercense, che egli dirotta ai Premostratensi (epp. 253, 355), gli aveva fatto mutare atteggiamento.
Del resto «comment l’abbé de Clairvaux aurait‑il pu visiter et aider un mona, stère attué dans un pays fort éloigné, au recrutement problématique d’autant plus que vers ce moment déjà, le texte fondamental de la législation cistercienne – la Charte de charité – avait reçu quelques modifications importantes, dont l’exemption épiscopale? cette exemption loin de faciliter la tâche de l’abbé‑père l’aurait rendue plus difficile dans le cas présent, vu l’éloignement excessif du nouveau monastère». E. WILLEMS, Cîteaux et la seconde croisade, in ‘Revue d’histoire ecclésiastique, XLIX (1954), pp. 116‑151: 122. Agli occhi di Bernardo era preferibile consolidare l’espansione dell’Ordine in Europa, prima di avventurarsi in terre così lontane, secondo un’idea già avvertibile vent’anni prima nella sua censura della decisione di Arnoldo di Schwarzenburg, abate di Morimond, di recarsi in Palestina per fondarvi nuovi insediamenti.Cfr. B. HAMILTON, The Cistercian in the Crusade States, in One yet two. Monastic tradition Bast and West, a cura di B. Pennington, Kaiamazoo (mich.) 1976, pp. 405‑407.
[lviii] Cfr. J. LECLERCQ, L’encyclique de saint Bernard en faveur de la croisade, in ‘Revue bénédictine’, LXXXI (1971), pp. 282‑308; e anche E. PFEIFFER, Die Stellung des Hl. Bernhard zur Kreuzzugsbewegung nach seine Schriften, in ‘Cistercienser Chronik’, XLVI (1934), pp. 273‑283 e 304‑311; IDEM, Die Cistercienser und der zweite Kreuzzug, ibidem, XLVII (1935), pp. 8‑10, 44‑54, 78‑81, 107‑114, 145‑150; E. DELARUELLE, L’idée de croisade chez saint Bernard, In Mélanges saint Bernard, cit., pp. 53‑67.
[lix] Cfr. A. H. BREDERO, Studien zu den Kreuzzugsbriefen Bernhards von Clairvaux und seiner Reise nach Deutschland im Jahre 1146, in ‘Mitteilungen des Instituts für österreichischen Geschichtsforschungen», LXVI (1958), pp. 331‑343.
[lx] Abbastanza attendibile la narrazione di questo viaggio bernardino in Germania. Cfr. Historia miraculorum in itinere germanico patratorum, in P. L., 185, coll. 327‑414.
[lxi] E. WILLEMS, art. cit, p. 132‑133.
Cfr. inoltre P. GELDNER, Die Politik Königs Konrads III in ihren Beziehungen zum N. Bernhard von Clairvaux und zu den deutschen Cisterciensern, in Mélanges saint Bernard, cit., pp. 126‑133.
[lxii] Cfr. E. WILLEMS, art. cit., p. 138 e ss.
[lxiii] L. CIONI, Il concilio di Reims nelle fonti contemporanee, in ‘Aevum’, LIII (1979), pp. 273‑300: 280. Sul processo, cfr. anche S. GAMMERSBACH, Gilbert von Poitiers und seine Prozesse im Urteil der Zeitgenosse, Köln 1959 e N. H. HARING, The Case of Gilbert de la Porée Bishop of Poitiers (1142‑1154), in ‘Medieval Studies’, XIII (1951), pp. 1‑40, oltre a quelli citati qui di seguito.
[lxiv] Cfr. N. H. HARING, San Bernardo e Gilberto vescovo di Poitiers, in Studi su san Bernardo, cit., pp. 85‑87 e IDEM, Das so genannte Glaubensbekenntnis des Reimser Konsistoriums von 1148. in ‘Scholastik’, XL (1965), pp. 55‑90.
[lxv] Goffredo di Auxerre tocca in quattro occasioni l’argomento del processo: nella scriptura, nella biografia di Bernardo (vita prima, lib. III, c. V, 15, in P.L. 195, col. 312), nel Libellus contra capitula Gisleberti e nell’Epistula ad cardinalem Albinum, albanensem episcopum. Tutti questi scritti sono editi da N. H. HARING, The writings against Gilbert by Poitiers by Geoffrey of Auxerre, in ‘Analecta cisterciensia’, XXII (1966), pp. 3‑81.
[lxvi] OTTONE DI FRISINGA, Gesta Friderici imperatoris, in Monumenta Germanìae Historica, ed. di G. H. Pertz, XX, Hannover 1868, lib. I, e. XLVII‑LII, pp. 376‑385. Opera scritta tra il 1156 e il 1158.
[lxvii] GIOVANNI DI SALISBURY, Historia pontificalis, ed. R. L. Poole, Oxford 1927, pp. 16‑41 (o in P.L., 199, coll. 8‑15). La sua redazione è posteriore al 1164.
[lxviii] OTTONE DI PRISINGA, op. cit., lìb. I, e. XLIX e LII, pp. 378‑380.
[lxix] Possono giovare a questo proposito le osservazioni d’insieme dello Zerbi: «Sembra esistessero attorno a Innocenzo II e ad Eugenio III elementi filobernardiani ed altri ostili: il primo nucleo, i cui componenti sono parzialmente identificabili con i destinatari delle lettere di Bernardo in curia per ottenere la condanna di Abelardo ( … ), sembra coincidere in buona parte con un gruppo «francese» di curia, forte di cardinali provenienti dal movimento monastico e canonicale di Francia ed anche di Renania (il cancelliere Almerico, il cluniacense Alberico d’Ostia, il cistercense Stefano di Palestrina, il vittorino Ugo, ecc.); mentre gli avversari esprimono una tendenza schiettamente «romana», gelosa custode dell’autonomia e delle prerogative della curia nel confronti dell’influente abate francese». P. ZERBI, Bernardo di Chiaravalle, in Biblioteca sanetorum, v. III, Roma 1963, col. 24.
[lxx] GILBERTO DE LA PORREE, De Trinitate, I, Prologus primus, ed.
N.H. HARING, Toronto 1966, pp. 53‑56. Il riferimento è implicito per Bernardo. Il risentimento del dotto vescovo, nei confronti di Bernardo, non sembra placarsi. Giovanni di Salisbury riporta nella sua opera la risposta un poco sprezzante di Gilberto all’offerta dell’abate di incontarsi per discutere su alcuni scritti di sant’Ilario, qualche tempo dopo il processo: «Ille vero respondit iam satis quod hucusque contenderant, et abbatem, si plenam intelligentiam Hylaxii affeetaret, prius in disciplinis liberalibus et aliis prediscendis plenius instruii oportere». GIOVANNI DI SALISBURY, op. cit., p. 26.
[lxxi] GIOVANNI DI SALISBURY, op. cit., pp. 19‑20.
[lxxii] L. CIONI, art. cit., p. 297. Per quanto riguarda la discordanza fra queste due opere circa il momento della riunione nella resistenza di Bernardo, la studiosa avanza un’nteressante ipotesi: «Bisogna ricordare a questo proposito che Ottone non fu presente al processo e che dunque da altri ricevette informazioni su di esso. Si può supporre che egli abbia ricevuto notizie degli avvenimenti riguardanti il concilio In ambiente cistercense, dal quale del resto proveniva, o comunque favorevole all’abate di Clairvaux. Gli sarebbe stata fornita una versione dei fatti in cui l’atteggiamento di san Bernardo appariva meno discutibile e più giustificabile. Per Giovanni, invece, ammettere che l’abate avesse preso l’iniziativa prima dello svolgimento del processo costituiva imbarazzo meno grave di quanto non fosse per gli amici di san Bernardo».
(p. 299).
[lxxiii] «For the majority of Christians he had been the prime mover of these campaigns; many miracles, also, had seemed to confirm Good’s favor and interest in his work. For this reason, as his friend and biographer Geoffrey says, either the simplicity or the malignity of certain men raised a great scandal against him because of his preaching of the journey to Jerusalem? Geoffrey goes on to emphasize, by woy of excuse, that this preaching was undertaken only at the express command of the Pope and the urging of Louis VII». G. CONSTABLE, The second crusade os been by contemporaries, in ‘Traditio’, IX (1953), pp. 213‑279: 266‑267, Vedi inoltre IDEM, A report of a lost sermon by St. Bernard on the Failure of the second crusade, in Studies in Medieval Cìstercian History, speneer (Mass.) 1971, pp, 49‑54.Cfr. Vita prima, lib.
III. c. IV, 9‑10, in P.L., 185, coll. 308‑309.

Laura Dal Pra' - Casamari 1990

 

Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

 

   

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