Oro:
cielo
regale,
cielo
celestiale,
sopra
la
terra,
oltre
la
terra;
il
cielo
di
Dio,
la sua
dimora,
senza
spazio
e
senza
tempo.
Il
cielo
etereo,
il
cielo
che
abbraccia
lo
spazio
e il
tempo:
li
scalda,
dà
loro
il
calore
della
vita,
il
colore
del
senso,
la
leggiadra
pesantezza
della
materia.
Ma
quando
la
forza
d’essere
tramonta,
e lo
spazio
e il
tempo
inghiottiscono
la
vita
di un
uomo,
ogni
volta
è la
fine
del
mondo.
Si
chiude
la
terra:
un
masso
è
rotolato,
la
pietra
pesante
fa
precipitare
tutto.
La
materia
perde
la sua
forma
e con
essa
il suo
senso.
Che
delusione:
tutto
finito.
E noi
che ci
speravamo
in
questa
vita.
E noi
che
amavamo
quel
calore,
che ci
lasciavamo
rallegrare
da
quel
colore,
che ci
agitavamo
trasformando
la
pesantezza
della
materia
nella
spensieratezza
della
danza.
Pare
di
sentirle
quelle
parole:
quelle
dei
discepoli
che,
vista
la
pietra
rotolare,
han
chiuso
gli
occhi
e con
essi
la
speranza.
Hanno
passi
pesanti:
i loro
piedi
non
danzano
più su
quella
via
verso
Emmaus.
Ma
quando
Lui
c’era,
camminare
era
leggero.
E
sperare
bello.
La
notte
però
divenne
d’oro;
come
il
fondo
di
un’immagine
custodita
nel
nostro
Duomo
di
Piacenza.
Divenne
proprio
d’oro.
E quel
cielo
che
abbraccia
la
terra,
non
lasciò
sola
la
terra.
La
convocò.
Con
lei il
cosmo
intero.
Quella
pietra
non
poté
più
restare
a
vegliare
un
morto:
quel
morto
ora
vive!
Lo
spazio
e il
tempo
vennero
convocati
a
testimoni
del
grande
evento:
"Esulti
il
coro
degli
angeli,
esulti
l’assemblea
celeste…Gioisca
la
terra…Gioisca
la
madre
Chiesa"
E
con
lei
voi,
fratelli.
Gesù è
lì, ed
è il
Cristo:
su di
lui
non
veglia
una
pietra,
ma con
lui il
cielo
diventa
oro,
la
terra
fecondata
si
schiude.
E come
ha
germogliato
il
Redentore,
ora
consente
al
popolo
dei
redenti
di
uscire,
di
germogliare
di
nuovo
a
eterna
vita.
E’ in
piedi
il
Cristo,
leggermente
piegato
e con
la
mano
sinistra
porta
il
vessillo
del
vincitore.
Prodigioso
duello:
si
scontrarono
la
durezza
della
morte
e la
vertiginosa
forza
della
vita,
della
fonte
della
vita;
duellarono
il
Redentore
e
l’ultimo
Nemico.
Vinse
il
Redentore:
ed
eccolo
ergersi
nella
feconda
bellezza
che ha
attraversato
le
asperità
della
vita.
Quelle
asperità
sono
lì:
sono
quelle
rocce
aride,
senz’acqua
e
senza
vita
che
rinchiudono
i
morti
da
gran
tempo.
Una
schiera
intera:
pallidi,
ormai
immemori
della
leggerezza
della
vita e
del
danzare
della
speranza.
Pallidi,
scavati,
provati,
consumati.
Con lo
sguardo
che si
rianima
alla
vista
di
quello
sguardo.
Che
sapiente
artista
quel
Serafino
dei
Serafini:
quegli
sguardi
così
piccoli
da
rappresentare,
così
grandi
nel
comunicare.
Si
incontrano:
quanto
si
sono
cercati!
Quante
volte
Dio ha
cercato
l’uomo
nel
riecheggiare
di
quella
domanda
piena
di
apprensione
"Dove
sei?"
E
quante
volte
l’uomo
si è
nascosto:
tu,
io,
noi ci
siamo
nascosti,
non ci
siamo
lasciati
trovare
da
quello
sguardo.
Ma
eccolo,
quello
sguardo:
ora
incontra
la sua
creatura.
Anche
Dio
fatto
uomo
ha
condiviso
la
sorte
della
sua
creatura:
fin
lì,
fin
negli
inferi.
Quegli
sguardi
si
cercarono
fin
dall’origine
del
mondo,
fin da
quel
giorno
in cui
l’antico
Nemico
tentò
Adamo
ed Eva
e la
morte
annodò
i suoi
vincoli
più
nefasti.
Fu il
giorno
in cui
l’uomo
cerco
lo
sguardo
di
Dio,
ma per
fuggirlo.
Ora,
in
questa
notte
lucente,
lo
cerca
per
essere
redento:
"Questa
è la
notte
in cui
Cristo,
spezzando
i
vincoli
della
morte,
risorge
vincitore
dal
sepolcro".
E’
risorto
dal
sepolcro,
il
cosmo,
lo
spazio
e il
tempo
sono
convocati
a
testimoni:
la
morte
è
vinta.
Così
il
Cristo
non si
dimentica
di
coloro
per i
quali
combatté
il
prodigioso
duello:
in
quella
tenzone
duellò
a
fianco
di
ciascuno
di
noi.
Ci
prese
per
mano e
non ci
lascia.
Quella
mano:
è la
mano
che,
tesa
ad
Adamo,
lo
trae
di
nuovo
dalla
terra,
come
fosse
una
nuova
creazione.
E
ancora
una
volta
il
pallore
del
primo
uomo è
il
pallore
di una
terra
arsa,
consumata,
ma che
amata
diviene
feconda.
La
mano
non
lascerà
più
Adamo,
non
lascerà
più
Eva.
Riconoscibile
accanto
a
quell’uomo
scarno,
a lui
si
appoggia.
Fu
tratta
dalla
sua
costola:
è
questa
l’immagine
che
dice
dell’umanità
che
ogni
vivente
condivide
nell’intimo.
Anch’ella
è lì,
col
seno
ormai
consumato,
con il
volto
irriconoscibile,
vinto
in
duello:
duello
per
l’uomo
invincibile,
ma per
Dio e
per il
suo
Figlio
possibile.
Dietro,
quella
schiera:
la
schiera
di
coloro
che
seguono
Adamo,
la
schiera
degli
uomini
che si
perdono
nei
mille
rivoli
dello
spazio
e del
tempo
di un
cosmo
che lì
è
abbracciato
dal
giorno
che
non
tramonta.
Avevano
peccato.
Sono
morti.
Erano
prigionieri
di
quell’arco
di
pietra
rappresentato
tra
Cristo
e
Adamo.
Geniale
nel
suo
rappresentare
l’artista!
Sì,
perché
l’arco
è
spezzato,
l’ostacolo,
la
chiusura,
il
confine
è
attraversato
dalla
mano
del
Cristo.
E Dio,
in
Cristo,
salva.
"Davvero
era
necessario
il
peccato
di
Adamo,
che è
stato
distrutto
con la
morte
del
Cristo.
Felice
colpa,
che
meritò
di
avere
un
così
grande
redentore."
Oro di
una
notte
che
splende
come
il
giorno:
"Di
questa
notte
è
stato
scritto:
la
notte
splenderà
come
il
giorno,
e sarà
fonte
di
luce
per la
mia
delizia."
E’
la
notte
in cui
è
il
possibile:
è la
notte
del
calore
della
vita,
del
colore
del
senso,
della
leggerezza
della
materia
che
danza.
Quei
poveri
volti
si
accalcano
dietro
ad
Adamo,
vogliono
vedere,
potranno
danzare
un
tempo
nuovo.
Ora
possono
sperare.
Sono
quei
volti
che
conobbero
la
misteriosa
ora in
cui
Cristo
è
risorto
dagli
inferi.
E
promettono
a noi
di
conoscere
quel
giorno
e
quell’ora.
Si
vede
anche
un’aureola
tra la
piccola
folla.
Anche
per la
vita
santa
nessun
vantaggio
essere
nata,
aver
danzato
la
propria
esistenza,
aver
percorso
il
proprio
tempo,
se in
quella
gloriosa
notte
che
divenne
giorno
Cristo
non ci
avesse
redenti.
Chiusa
nella
terra,
ora si
schiude
al
tempo
divenuto
eterno
movimento
mai
stanco
di
vita,
benché
sempre
di
essa
sazio.
O
notte
beata,
in cui
Cristo
discese
agli
inferi,
prese
per
mano
Adamo
e con
lui
Eva.
Li
strappò
dall’abbraccio
mortale
della
terra
e li
restituì
al
correre
sereno
del
vivere.
Promise
anche
a noi.
Promette
anche
a te.
Immagine
rara
dalle
nostre
parti
quella
di
Serafino
dei
Serafini.
E’
La
Discesa
agli
inferi:
una
tradizione
antica
è
andata
per
noi
occidentali
perduta
dal
XIV
secolo
in
avanti.
Ma
conservata
nella
nostra
Cattedrale,
epilogo
di un
tempo
in cui
il
cielo
di Dio
era
sempre
caldo
oro.
Unica
testimonianza
nella
nostra
Diocesi.
Testimonianza
che
attende
che il
nostro
cuore
arda
quando,
ascoltando
parole
antiche
e
sempre
nuove,
riconosceremo
in
quel
volto,
in
quella
croce
descritta
dall’arco
di
terra
incrociata
dallo
stringersi
delle
mano
di
Gesù e
Adamo,
la
notte
gloriosa
che fu
come
giorno
e rese
per
sempre
la
notte
come
il
giorno.
O
notte
beata,
nella
quale
rimane
ad
ardere
una
promessa
già
realtà.
E quei
poveri
volti,
quei
toraci
scavati,
quelle
mani
esangui;
il tuo
povero
volto,
il tuo
torace
scavato,
la tua
mano
esangue,
sentirà
il
calore
vitale
di
Cristo,
si
tingerà
del
colore
della
sua
vita:
uomo
con
te,
Dio
per
te. E
il
camminare
torna
di
nuovo
il
danzare
leggero
della
materia
redenta.
E lo
sperare
torna
di
nuovo
un
sorriso.
Da
quella
morte,
la
vita.