Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
  Approfondimenti spirituali
 

IL CIELO E’ D’ORO: EXULTET.

LA DISCESA AGLI INFERI

DAL POLITTICO DI SERAFINO DEI SERAFINI

(CATTEDRALE DI PIACENZA, SEC. XIV)

Oro: cielo regale, cielo celestiale, sopra la terra, oltre la terra; il cielo di Dio, la sua dimora, senza spazio e senza tempo. Il cielo etereo, il cielo che abbraccia lo spazio e il tempo: li scalda, dà loro il calore della vita, il colore del senso, la leggiadra pesantezza della materia.

Ma quando la forza d’essere tramonta, e lo spazio e il tempo inghiottiscono la vita di un uomo, ogni volta è la fine del mondo. Si chiude la terra: un masso è rotolato, la pietra pesante fa precipitare tutto. La materia perde la sua forma e con essa il suo senso. Che delusione: tutto finito. E noi che ci speravamo in questa vita. E noi che amavamo quel calore, che ci lasciavamo rallegrare da quel colore, che ci agitavamo trasformando la pesantezza della materia nella spensieratezza della danza. Pare di sentirle quelle parole: quelle dei discepoli che, vista la pietra rotolare, han chiuso gli occhi e con essi la speranza. Hanno passi pesanti: i loro piedi non danzano più su quella via verso Emmaus. Ma quando Lui c’era, camminare era leggero. E sperare bello.

La notte però divenne d’oro; come il fondo di un’immagine custodita nel nostro Duomo di Piacenza. Divenne proprio d’oro. E quel cielo che abbraccia la terra, non lasciò sola la terra. La convocò. Con lei il cosmo intero. Quella pietra non poté più restare a vegliare un morto: quel morto ora vive! Lo spazio e il tempo vennero convocati a testimoni del grande evento: "Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste…Gioisca la terra…Gioisca la madre Chiesa" E con lei voi, fratelli. Gesù è lì, ed è il Cristo: su di lui non veglia una pietra, ma con lui il cielo diventa oro, la terra fecondata si schiude. E come ha germogliato il Redentore, ora consente al popolo dei redenti di uscire, di germogliare di nuovo a eterna vita. E’ in piedi il Cristo, leggermente piegato e con la mano sinistra porta il vessillo del vincitore. Prodigioso duello: si scontrarono la durezza della morte e la vertiginosa forza della vita, della fonte della vita; duellarono il Redentore e l’ultimo Nemico. Vinse il Redentore: ed eccolo ergersi nella feconda bellezza che ha attraversato le asperità della vita.

Quelle asperità sono lì: sono quelle rocce aride, senz’acqua e senza vita che rinchiudono i morti da gran tempo. Una schiera intera: pallidi, ormai immemori

della leggerezza della vita e del danzare della speranza. Pallidi, scavati, provati, consumati. Con lo sguardo che si rianima alla vista di quello sguardo.

Che sapiente artista quel Serafino dei Serafini: quegli sguardi così piccoli da rappresentare, così grandi nel comunicare.

Si incontrano: quanto si sono cercati! Quante volte Dio ha cercato l’uomo nel riecheggiare di quella domanda piena di apprensione "Dove sei?" E quante volte l’uomo si è nascosto: tu, io, noi ci siamo nascosti, non ci siamo lasciati trovare da quello sguardo. Ma eccolo, quello sguardo: ora incontra la sua creatura. Anche Dio fatto uomo ha condiviso la sorte della sua creatura: fin lì, fin negli inferi. Quegli sguardi si cercarono fin dall’origine del mondo, fin da quel giorno in cui l’antico Nemico tentò Adamo ed Eva e la morte annodò i suoi vincoli più nefasti. Fu il giorno in cui l’uomo cerco lo sguardo di Dio, ma per fuggirlo. Ora, in questa notte lucente, lo cerca per essere redento: "Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro". E’ risorto dal sepolcro, il cosmo, lo spazio e il tempo sono convocati a testimoni: la morte è vinta. Così il Cristo non si dimentica di coloro per i quali combatté il prodigioso duello: in quella tenzone duellò a fianco di ciascuno di noi. Ci prese per mano e non ci lascia.

Quella mano: è la mano che, tesa ad Adamo, lo trae di nuovo dalla terra, come fosse una nuova creazione. E ancora una volta il pallore del primo uomo è il pallore di una terra arsa, consumata, ma che amata diviene feconda. La mano non lascerà più Adamo, non lascerà più Eva. Riconoscibile accanto a quell’uomo scarno, a lui si appoggia. Fu tratta dalla sua costola: è questa l’immagine che dice dell’umanità che ogni vivente condivide nell’intimo. Anch’ella è lì, col seno ormai consumato, con il volto irriconoscibile, vinto in duello: duello per l’uomo invincibile, ma per Dio e per il suo Figlio possibile. Dietro, quella schiera: la schiera di coloro che seguono Adamo, la schiera degli uomini che si perdono nei mille rivoli dello spazio e del tempo di un cosmo che lì è abbracciato dal giorno che non tramonta.

Avevano peccato. Sono morti. Erano prigionieri di quell’arco di pietra rappresentato tra Cristo e Adamo.

Geniale nel suo rappresentare l’artista!

Sì, perché l’arco è spezzato, l’ostacolo, la chiusura, il confine è attraversato dalla mano del Cristo. E Dio, in Cristo, salva. "Davvero era necessario il peccato di

Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore."

Oro di una notte che splende come il giorno: "Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia." E’ la notte in cui è il possibile: è la notte del calore della vita, del colore del senso, della leggerezza della materia che danza. Quei poveri volti si accalcano dietro ad Adamo, vogliono vedere, potranno danzare un tempo nuovo. Ora possono sperare. Sono quei volti che conobbero la misteriosa ora in cui Cristo è risorto dagli inferi. E promettono a noi di conoscere quel giorno e quell’ora.

Si vede anche un’aureola tra la piccola folla. Anche per la vita santa nessun vantaggio essere nata, aver danzato la propria esistenza, aver percorso il proprio tempo, se in quella gloriosa notte che divenne giorno Cristo non ci avesse redenti. Chiusa nella terra, ora si schiude al tempo divenuto eterno movimento mai stanco di vita, benché sempre di essa sazio.

O notte beata, in cui Cristo discese agli inferi, prese per mano Adamo e con lui Eva. Li strappò dall’abbraccio mortale della terra e li restituì al correre sereno del vivere. Promise anche a noi. Promette anche a te.

Immagine rara dalle nostre parti quella di Serafino dei Serafini. E’ La Discesa agli inferi: una tradizione antica è andata per noi occidentali perduta dal XIV secolo in avanti. Ma conservata nella nostra Cattedrale, epilogo di un tempo in cui il cielo di Dio era sempre caldo oro. Unica testimonianza nella nostra Diocesi. Testimonianza che attende che il nostro cuore arda quando, ascoltando parole antiche e sempre nuove, riconosceremo in quel volto, in quella croce descritta dall’arco di terra incrociata dallo stringersi delle mano di Gesù e Adamo, la notte gloriosa che fu come giorno e rese per sempre la notte come il giorno.

O notte beata, nella quale rimane ad ardere una promessa già realtà. E quei poveri volti, quei toraci scavati, quelle mani esangui; il tuo povero volto, il tuo torace scavato, la tua mano esangue, sentirà il calore vitale di Cristo, si tingerà del colore della sua vita: uomo con te, Dio per te. E il camminare torna di nuovo il danzare leggero della materia redenta. E lo sperare torna di nuovo un sorriso.

Da quella morte, la vita.


 Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

 
   

 home page  - index

top               «      »